Maladolescenza

di Pier Giuseppe Murgia (Italia/Germania Ovest, 1977)

Soltanto i magnifici anni settanta potevano sputare fuori un’opera del genere, un coming of age unico e irripetibile, ancora oggi oggetto di critiche e di censure (in Germania e nei Paesi Bassi, “Maladolescenza” è bandito da svariati anni, poiché ritenuto un prodotto pedopornografico). I protagonisti delle vicende sono infatti tre attori all’epoca giovanissimi, Martin Loeb, Lara Wendel ed Eva Ionesco, quest’ultima già finita in tenera età sulle pagine di Playboy grazie a una madre senza troppi scrupoli. È il 1977, i registi lavorano senza pressioni e non esiste in alcun modo il politicamente corretto dei giorni nostri: lo sapeva bene anche Pier Giuseppe Murgia (per lui, due soli film all’attivo oltre a una lunga carriera televisiva), colui che con “Maladolescenza” è entrato nella storia del cinema estremo dalla porta principale.
C’è subito da dire che si tratta di un lungometraggio narrativamente povero e per certi versi ridondante, un limite che comunque non incide più di tanto sul giudizio finale. Tutto ruota attorno alle vicende di tre ragazzini, Fabrizio (Loeb), Laura (la Wendel) e più tardi Silvia (la Ionesco), unici interpreti di quella che possiamo definire una fiaba della crudeltà. Gli eventi si svolgono esclusivamente in un bosco durante l’estate, un luogo che fa da sfondo alle prime pulsioni sessuali di questi giovanotti. Un triangolo fatale dove non manca la figura del sadico carnefice o della vittima innocente, tra simbolismi più o meno telefonati (il serpente del peccato) ed elementi perturbanti non privi di straniante fascino (il cane lupo di Fabrizio).


Le scene di nudo integrale e quelle di sesso (simulato) hanno fatto sì che “Maladolescenza” si beccasse immediatamente l’etichetta di film scandalo, oltre che immorale. Eppure, quello che accade sullo schermo è praticamente ciò che è successo a molti di noi durante gli anni della gioventù: i primi baci, le prime infatuazioni, le prime (tragiche?) esperienze, qui portate ovviamente all’esasperazione (una volta aperti gli occhi sul mondo, è possibile conoscere da vicino sia il piacere che il dolore più intenso, come quello che prova l’ingenua Laura davanti alla sopraffazione di un insopportabile maschio dominante). È chiaro però che bisogna scendere a patti con il voyeurismo del pubblico, perché se da un lato i tre protagonisti recitano senza veli alla scoperta del corpo umano (fin qui, nulla di male!), siamo noi spettatori a sentirci in imbarazzo davanti a qualcosa che oggettivamente può creare un certo disagio. “Maladolescenza” non è un porno, sia chiaro, ma quelli che vediamo davanti a noi sono pur sempre minorenni. In poche parole, chi ha censurato la pellicola, ha dovuto per forza di cose evitare che cinefili o curiosi dell’ultima ora potessero aggirare un tabù invalicabile della nostra società, anche solo con lo sguardo. Allo stesso tempo, chi vorrebbe buttare nel cesso il film trattandolo come un’opera oscena da quattro soldi, probabilmente lo ha visto e vuole solo lavarsi la coscienza per averlo fatto.
Murgia imbocca una strada autoriale e riesce a tenersi in carreggiata con discreta disinvoltura, puntando su alcune suggestive location (la grotta) ma soprattutto su delle avvolgenti atmosfere, per un mood sospeso e sognante spesso avvalorato dalla notevole colonna sonora curata da Pippo Caruso. Al di là quindi delle sue immancabili derive morbose e pruriginose, “Maladolescenza” è un lungometraggio tutt’altro che infelice, forse meno sostanzioso rispetto ad altri prodotti contemporanei (pensiamo a “Nenè” di Samperi), tuttavia più votato verso profonde declinazioni poetiche: a chiudere il cerchio, ci pensano infatti dei versi scritti dall’ungherese Dezső Kosztolányi, dei quali riportiamo nell’immagine qui sotto gli ultimi sublimi passaggi. Perché crescere, in fondo, significa giocare con la morte.

(Paolo Chemnitz)

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