
di Barbet Schroeder (Francia/Colombia, 2000)
“La Vergine Dei Sicari” (“La Virgen De Los Sicarios”), per una serie di motivi, è un film che non è mai stato pubblicizzato a dovere. All’epoca della sua uscita (nonostante i buoni riscontri della critica e gli applausi al Festival di Venezia), la censura non fu clemente nei confronti di Barbet Schroeder, almeno qui in Italia, dove la natura anticlericale di alcuni dialoghi andò di traverso agli addetti ai lavori di sponda cattolica. In fase di doppiaggio, una frase sulla necessità del sesso fu infatti stravolta (noi però la riportiamo qui: “you can’t live without sex. People go crazy without sex. Look how nutty the Pope’s become. Spouting crap everywhere and kissing floors. Saying that homosexuality and all that is a sin. That’s a sin? Having kids is a sin! There’s no space left, the planet will explode!”). Ma questo non è nulla davanti a una storia incentrata sul rapporto sentimentale tra un uomo adulto e un ragazzino neppure diciottenne.
Fernando è uno scrittore di successo, tornato da poco nella sua Medellin dopo trent’anni di assenza: qui conosce immediatamente Alexis, un giovanotto costretto a delinquere per le strade della metropoli colombiana. Ogni giorno, il rischio di morire assassinati è molto alto, poiché gli scontri tra bande e le sparatorie improvvise lasciano in città una lunga scia di sangue. Attraverso un percorso urbano fatto di morte (gli agguati che si susseguono) e di nostalgia (la riscoperta dei luoghi che hanno cresciuto il protagonista), il nichilista e disilluso Fernando si rende conto che oggi quel posto è marchiato soltanto dall’odio e dalla violenza.
Quello diretto da Barbet Schroeder (l’ispirazione arriva dall’omonimo romanzo di Fernando Vallejo) è un lungometraggio a tratti ridondante, eppure capace di cogliere con estrema intensità i contrasti e le emozioni dei due personaggi principali: tra (impercettibile) speranza e tanta amarezza, “La Vergine Dei Sicari” ci conduce così all’interno di un mondo cinico, spietato e brutale, dove le armi e la religione sembrano poter andare tranquillamente a braccetto. Dopotutto, nella città simbolo dei narcotrafficanti (Pablo Escobar viene nominato più volte), si può ammazzare qualcuno anche per futili motivi e allo stesso è possibile chiedere protezione alla Vergine, figura a cui i criminali sono molto devoti. Uccidi e prega, questa è la scomoda realtà di Medellin.
Togliendo di mezzo qualche coincidenza forzata (il cerchio si chiude quando entra in gioco Wilmar) e un’estetica generale invecchiata fin troppo precocemente, “La Vergine Dei Sicari” si rivela comunque un prodotto interessante, persino fastidioso in alcuni frangenti (nel senso positivo del termine). Perché qui, a parte un controverso amore gay, si parla soprattutto di una società malata che non potrà mai guarire dai suoi orrori.

(Paolo Chemnitz)
