
di Ruben Östlund (Svezia/Francia/Gran Bretagna/Grecia, 2022)
A Cannes, Ruben Östlund vince sempre: lo aveva fatto nel 2014 con “Forza Maggiore” (nella sezione Un Certain Regard), prima di aggiudicarsi la Palma d’Oro con “The Square” nel 2017 e con questo “Triangle Of Sadness” nel 2022, un film girato prevalentemente su un lussuoso yacht tra le isole della Grecia. Ancora una volta, la satira del regista svedese colpisce il bersaglio, sprofondando persino nel cattivo gusto: in effetti, quando si parla di qualche cafone impaccato di soldi, non potrebbe essere altrimenti.
La pellicola è divisa in tre segmenti: il primo è molto breve e si focalizza sulla relazione tra un modello poco sicuro di sé (Carl) e la sua fidanzata Yaya (l’attrice Charlbi Dean ci ha appena lasciati a soli trentadue anni), un’influencer sempre a caccia di nuovi followers. I due vengono invitati a partecipare gratuitamente a una crociera, in modo tale da pubblicizzarla a dovere attraverso i social. Qui l’opera entra a gamba tesa nella seconda parte, dove conosciamo altri personaggi dalle dubbie qualità morali (oligarchi, imprenditori, vecchie riccone che si sentono onnipotenti e ovviamente la variegata crew dell’imbarcazione), individui le cui manie e ossessioni (il fottuto denaro!) vengono subito delineate in maniera nitida e spietata. Tuttavia, una disgrazia inattesa capovolge ogni tipo di gerarchia, trascinando i pochi superstiti su un isolotto incontaminato, dove questi naufraghi devono vedersela con la fame e con delle nuove regole da rispettare. Lì infatti, è Abigail a comandare, una donna delle pulizie fino a poco tempo prima abituata a sgobbare sulla nave (la terza fase del film segna uno stacco netto rispetto alle due precedenti).
La critica anti-establishment messa in atto da Ruben Östlund è senza dubbio pungente e velenosa, anche se rispetto al più intellettuale “The Square”, questo “Triangle Of Sadness” risulta maggiormente diretto e didascalico. Basta mettere a confronto due scene cult presenti dei rispettivi film, entrambe ambientate durante una cena: alla provocatoria performance dal sapore weird vista nel precedente lungometraggio, si affianca una potente metafora sulla ricchezza e sull’ingordigia (in cui champagne, vomito e merda vanno allegramente a braccetto fino al delirio generale). Un boomerang simbolico di facile comprensione sottolineato dall’imminente naufragio, una situazione dopo la quale i benestanti sono costretti a ripartire da zero, poiché privati del loro status sociale e dei loro poteri. Lupi che comunque perdono il pelo ma non il vizio, perché l’ipocrisia, l’opportunismo e la supponenza di alcuni soggetti non tardano a riemergere in maniera sfacciata, al di là di una finale (aperto) dove Östlund prova a rimescolare con una certa ambiguità le carte sul tavolo.
Curiosamente, c’è uno sconosciuto film italiano del 1969 a cui “Triangle Of Sadness” sembra lontanamente ispirarsi: si tratta del pruriginoso “Top Sensation”, dove (in quel caso) le pulsioni erotiche fungono da molla per distruggere i fragili equilibri di un gruppo di borghesi in gita su uno yacht. Un paragone ovviamente azzardato ma non privo di appigli, considerando la natura selvaggia e istintiva di “Triangle Of Sadness”, due ore e mezza che scivolano velocemente in un mare di esagerazioni, di orrori e di falsi sorrisi.
È un’umanità terrificante quella raccontata da Ruben Östlund, un’umanità ormai nel pieno del degrado. Solo una tempesta può ripulirci da questo scempio.

(Paolo Chemnitz)

Ho letto qualche critica che l’ha giudicato arido, freddo, ma a questo punto mi incuriosisce
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