Masking Threshold

di Johannes Grenzfurthner (Austria, 2021)

L’acufene, detto anche tinnito, è la percezione di un rumore, solitamente un ronzio, un fischio, un fruscio o un sibilo, avvertito nelle orecchie o nella testa in assenza di uno stimolo acustico esterno”. Non potrebbe esserci introduzione migliore per presentare questo “Masking Threshold”, ultima fatica del regista austriaco Johannes Grenzfurthner. Il suo non è un horror come tanti, ma è un film incredibilmente originale che parte proprio dal presupposto di cui sopra: soffrire di acufene, in effetti, è una costante tortura capace di mettere a dura prova la nostra sanità mentale (se è vero che a quel fischio ci si abitua velocemente, c’è da dire che non è affatto facile convivere con questa sirena inestirpabile).
A differenza di tanti celebri prodotti austriaci a noi cari, “Masking Threshold” sceglie una strada completamente diversa: voice over in modalità martello, utilizzo esclusivo della lingua inglese, riprese macro in pieno stile documentaristico e una sola e unica location, un laboratorio improvvisato messo in piedi da un protagonista senza nome. Questo individuo è convinto che ogni organismo vivente (sia di origine animale che vegetale) possa emettere un suono costante, soprattutto quando è in procinto di morire. Assistiamo dunque a una serie di esperimenti su piante, lumache o formiche (curiosa la scritta che appare nei crediti: “contrary to appearances, one ant was the only animal killed in the making of this film”), in attesa di un epilogo sorprendentemente splatter, in cui entrano in gioco una manciata di personaggi esterni alle vicende.
Il mad doctor in questione, se così possiamo chiamarlo, stavolta deve curare se stesso: egli segue un metodo rigorosamente scientifico, nel quale convivono a braccetto follia e sofferenza, all’interno di una stanza che fa rumore a prescindere, perché in “Masking Threshold” non sono previste pause. Il tinnitus è l’orrore, è il mostro che devasta la mente.
Ci troviamo quindi al cospetto di un lungometraggio sui generis che non può lasciare indifferenti. Possiamo rimproverare a Johannes Grenzfurthner l’eccessiva durata dell’opera (sarebbero bastati settanta minuti, invece dei canonici novanta), ma non possiamo assolutamente mettere in discussione il suo approccio incalzante e personale (ottima e dinamica la sua regia, seppur limitata da spazi minuscoli), un’arma a doppio taglio che ci permette di uscire sbalorditi (ma anche frastornati) da un’esperienza così tambureggiante. Se tutto questo fosse vero, “Masking Threshold” sarebbe un documentario fantastico: non lo è, però è un lavoro fuori dagli schemi nato per stupire ed opprimere (con la giusta ironia di fondo) l’inerme spettatore.

(Paolo Chemnitz)

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