Resurrection

di Andrew Semans (Stati Uniti, 2022)

Il passato è sempre in agguato, soprattutto se lo sottovalutiamo credendo che sia morto e sepolto da tempo. Un trauma può risvegliarsi da un momento all’altro, può farci ancora del male, può addirittura ritorcersi contro di noi: il dolore, quando dimora nel nostro animo o sulla nostra carne, può risorgere all’improvviso, come suggerisce il titolo di questo film diretto dallo sconosciuto Andrew Semans (qui alla sua seconda prova dopo un lontano esordio risalente al 2012).
Per far funzionare al meglio “Resurrection”, bastano una manciata di elementi decisivi: una buona sceneggiatura e una coppia di attori in splendida forma, Rebecca Hall (nei panni di Margaret) e l’inossidabile Tim Roth (nel ruolo di David), eccellenti interpreti di un lungometraggio che può essere definito un thriller psicologico dalle profonde venature horror (se apprezzate il sangue e le viscere, c’è un finale che vi aspetta a braccia aperte).
Eppure, durante le fasi iniziali, non c’è nulla da temere: Margaret è una donna in carriera dalla personalità dirompente, il suo carattere forte le permette inoltre di essere una madre attenta e premurosa (sua figlia è in procinto di compiere diciott’anni). Un uomo però ricompare dal passato remoto della sua esistenza, è David, un individuo misterioso di cui non sappiamo praticamente nulla. Da questo istante, la quotidianità della protagonista prende una piega allucinante, un percorso fatto di ossessioni e di paranoie nei confronti di un personaggio in apparenza mite e (a lei) disinteressato.
La chiave alla base di “Resurrection” è capire se Margaret è in pieno delirio oppure se per la donna è davvero avvenuto un ribaltamento estremo della realtà, quel ribaltamento capace di riportare a galla un essere mostruoso e ostile proveniente dalla sua fanciullezza. La risposta sta nel mezzo, perché se questo rapporto tossico messo in scena da Andrew Semans esiste e persiste (il tumultuoso decadimento psico-fisico di Margaret non è affatto un’invenzione), bisogna comunque porre al centro del discorso il binomio disperazione-allucinazione, ovvero il trauma e gli abusi che penetrano ben oltre le viscere della protagonista, intaccando sia la sua sensibilità che la sua salute mentale.
Alla fine dei giochi, pur senza infiammare più di tanto la nostra attenzione, “Resurrection” lascia delle cupe nonché profonde cicatrici, colpendo duramente ben oltre la superficie. Per tutto il resto, c’è la superba prova di Rebecca Hall: la sua Margaret è forte, decisa, fragile e tormentata, una caratterizzazione che da sola vale assolutamente la visione del film. Cinema psicotico al cento per cento.

(Paolo Chemnitz)

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