Speak No Evil

di Christian Tafdrup (Danimarca/Paesi Bassi, 2022)

Dopo essere approdato lo scorso inverno sugli schermi del Sundance Festival, “Speak No Evil” ha cominciato a far parlare di sé anche dalle nostre parti, grazie a un intenso passaparola tra i cultori del genere: aspettative piuttosto alte dunque, deluse solo in parte da qualche forzatura eccessiva nello sviluppo della trama. Nulla di compromettente però, perché quello del danese Christian Tafdrup è un thriller capace di sconvolgere lo spettatore, soprattutto nella cruciale svolta horror presente negli ultimi trenta minuti di pellicola.
Le vicende prendono vita in Toscana, dove due coppie in vacanza si incontrano in maniera più o meno casuale: conosciamo sia i danesi Bjørn e Louise (con la piccola Agnes al seguito) che gli olandesi Patrick e Karin, entrambi simpatici e spigliati (al contrario del loro figlioletto, un ragazzino impossibilitato a parlare per via di una rara sindrome). Nonostante tra i quattro protagonisti nasca un’amicizia alquanto flebile, l’occasione per rivedersi non tarda a sopraggiungere, poiché tempo dopo Bjørn e Louise vengono invitati nella casetta di campagna di Patrick e Karin, nei Paesi Bassi. Cuocendo la storia a fuoco lento, il regista danese mette a confronto due modelli familiari completamente differenti (durante le giornate trascorse insieme, emergono alcuni contrasti persino inquietanti), fino all’esplosione horror di cui sopra, persino inaspettata nelle sue malsane e disturbanti rivelazioni.
“Speak No Evil” ci permette di riflettere sul potere della manipolazione di una persona carismatica nei confronti di un’altra più remissiva e malleabile: è il medio-borghese Bjørn a permettere che accada il peggio, perché un uomo senza spina dorsale non può che finire sopraffatto dal male. Sotto questo punto di vista, le intenzioni di Christian Tafdrup colpiscono perfettamente il bersaglio, tenendoci incollati allo schermo grazie a una tensione latente giocata molto a livello psicologico (le buone interpretazioni del quartetto avvalorano tali sensazioni). “Speak No Evil” si focalizza così sui comportamenti, sui malintesi e su alcune situazioni ambigue, portando silenziosamente allo scoperto un orrore destinato a esplodere con tutta la sua forza.
È un peccato quindi dover assistere a una scena (in particolare) veramente tirata per i capelli, quando forse sarebbe stato opportuno incanalare gli eventi con maggior naturalezza, senza dover ricorrere a un risibile quanto repentino cambio di rotta (ci riferiamo alla sequenza del peluche, con relativi sbalzi di umore successivi tutt’altro che credibili). Il risultato conclusivo è senza dubbio efficace, però si sente che manca qualcosa per gridare al miracolo: “Speak No Evil” resta comunque un prodotto di valore, anche solo per l’idea malvagia che accompagna questa lenta ma necessaria discesa all’inferno. Mai fidarsi del prossimo.

(Paolo Chemnitz)

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