Decision To Leave

di Park Chan-Wook (Corea del Sud, 2022)

Dopo sei anni di assenza dal grande schermo (“The Handmaiden” risale al 2016), Park Chan-Wook torna a deliziarci con un cinema sempre più distante dai modelli coreani di riferimento (una virata che si poteva già intuire con “Thirst” o con il precedente lungometraggio, film molto diverso dalle sue esperienze più celebri). Premiato solo pochi mesi fa a Cannes con il prix de la mise en scène, “Decision To Leave” mette in risalto un linguaggio estetico tanto sobrio quanto elegante, all’interno del quale si muovono dei personaggi i cui gesti contano più delle parole: gli sguardi, i dettagli, i movimenti, sono questi gli aspetti che si sostituiscono agli impulsi irrazionali o alla violenza improvvisa. Non a caso, “Decision To Leave” è un neo-noir travestito da melodramma.
Un uomo viene trovato senza vita ai piedi di una ripida parete rocciosa: le indagini fanno subito pensare al suicidio, anche se il meticoloso detective Hae-Jun non è affatto convinto dell’accaduto. Una volta interrogata la vedova della vittima (Seo-Rae è una bella giovane di origine cinese), egli se ne innamora all’istante, dando vita a una storia impossibile con la principale sospettata. Hae-Jun è sposato, ma per lui non è facile resistere alla seducente personalità di questa attraente nonché intrigante donna del mistero (il titolo italiano si focalizza proprio sulla figura di Seo-Rae).
La pellicola di Park Chan-Wook sorprende fino a un certo punto, anche perché non era difficile immaginarsi una svolta di tale entità: in effetti, nel suo cinema, rimettere in circolo il sangue o le vendette più spietate non sarebbe stato sinonimo di maturità. Qui invece, ciò che conta, è l’intreccio drammatico tra i due protagonisti, un flusso di energia che rimbalza di continuo senza tuttavia definire i contorni di un cerchio dalle curve imperfette (“the moment you said you loved me, your love is over. The moment your love ends, my love begins”). Le vicende restano quindi sospese, sfumate o addirittura condizionate dal massiccio utilizzo della tecnologia (chat e messaggi), in un crescendo narrativo ben congegnato soprattutto nella fase cruciale dell’opera. Nonostante queste importanti prerogative (avvalorate da una regia sontuosa), “Decision To Leave” paga un’eccessiva dilatazione per via della sua durata spropositata (centotrentotto minuti), l’unico neo di un film altrimenti in linea con le migliori produzioni del regista coreano.
Essendo privo di azione e di tensione (quella erotica è comunque latente), nel prodotto in esame emerge così il lato più intimo del cinema di Park Chan-Wook, un angolo silenzioso non privo di tormento interiore e di viscerale desiderio. Dopotutto, anche l’indagine condotta da Hae-Jun finisce per essere risucchiata da un rapporto magnetico capace di muoversi nell’ombra, lontano dai riflettori della banale quotidianità.

(Paolo Chemnitz)

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