Rimini

di Ulrich Seidl (Germania/Austria/Francia, 2022)

A distanza di sei anni dalla sua ultima fatica (lo shock di “Safari” è ancora vivo nei nostro occhi), Ulrich Seidl torna al cinema di finzione che ha contraddistinto le sue opere più famose, spostando l’azione in una Rimini invernale battuta dalla pioggia, dal vento gelido e persino dalla neve: gli stereotipi più frivoli e solari legati alla città romagnola vengono così frantumati in un sol colpo, sulla scia di quanto già fatto in passato da Valerio Zurlini ne “La Prima Notte Di Quiete” (1972).
Grazie alla decima edizione della notevole rassegna curata dal forum austriaco di cultura, siamo riusciti a vedere “Rimini” in anteprima italiana. Si tratta di un film che rimescola con cura maniacale gli ingredienti umani già presenti nelle pellicole del regista: individui privi di morale, squallore, decadenza e solitudine, un cocktail micidiale raccontato sempre con la giusta dose di cinismo e di ironia. Questa volta Seidl tira fuori dal cilindro uno dei suoi personaggi più riusciti, Ritchie Bravo (un fantastico Michael Thomas), un cantante in declino invitato per fare compagnia alle comitive di vecchietti in gita in riviera. Dentro quegli alberghi semivuoti e deprimenti, Ritchie canta dei brani della tradizione popolare austriaca, mandando in estasi quelle signore anziane da sempre appassionate alla sua musica (le groupie non hanno età!). Tuttavia, per il protagonista, le cose si complicano improvvisamente dopo l’arrivo di sua figlia Tessa, una giovane da lui abbandonata fin da piccola.
L’ormai fallito Ritchie Bravo (non è affatto fuorviante un curioso parallelismo tra lui e Randy di “The Wrestler”) è un viscido ed è un gran paraculo, perché sa bene come manipolare queste persone anziane. C’è dunque poco da stare allegri in “Rimini”, visto che tra questi fotogrammi si respira la stessa aria di morte già presente in “Import/Export” (2007), soprattutto nello straziante epilogo che chiude (dopo quasi due ore) il lungometraggio.
Ulrich Seidl riparte anche da “Paradise: Love” (2012). Dopotutto, pure in età avanzata, una signora può andare alla ricerca di emozioni forti: nel caso in esame, il regista non ci risparmia scene di sesso alquanto bizzarre o imbarazzanti, sbattendoci in faccia una tristezza e una desolazione perfettamente in linea con le plumbee atmosfere di una città mostrata soltanto nei suoi angoli meno avvincenti (è sempre impressionante osservare l’intera costa massacrata da un’interminabile distesa di cemento). Al di là comunque delle inevitabili (auto)citazioni e di qualche lungaggine durante la seconda parte, “Rimini” conferma tutte le qualità estetiche e concettuali di un regista a noi tanto caro, un vero e proprio chirurgo della società austriaca e delle sue debolezze/depravazioni. Del cinema di Ulrich Seidl, è impossibile farne a meno.

(Paolo Chemnitz)

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