
di David Cronenberg (Canada/Francia/Grecia/Gran Bretagna, 2022)
Per il veterano David Cronenberg, ormai prossimo alle ottanta candeline, questa pellicola rappresenta un ambizioso colpo di coda rivolto sia al (suo) passato che al futuro (dell’umanità). Come prima cosa, il film segna un concreto ritorno al body horror e alla fantascienza puramente corporea, un’esperienza nella quale non mancano affatto delle palesi e volute autocitazioni (il titolo stesso del film omaggia l’omonimo mediometraggio del regista realizzato nel 1970). Ma Cronenberg non rimette in circolo soltanto se stesso (“Crimes Of The Future” si può infilare sulla scia di “eXistenZ”), perché i concetti che si celano dietro la sua opera sembrano addirittura allargare quel discorso già lanciato dal figlio Brandon con “Antiviral” (quando bellezza e malattia vanno serenamente a braccetto).
Viggo Mortensen è Saul Tenser, un body artist sempre accompagnato dall’assistente Caprice (Léa Seydoux). La coppia ha sperimentato una performance chirurgica in grado di elevare a un livello superiore questo tipo di spettacoli: come in un’inedita esperienza erotica (“surgery is the new sex”), Saul si fa asportare da Caprice degli organi colpiti da un tumore, lasciandosi aprire il ventre davanti agli occhi estasiati del pubblico. Tuttavia, il destino dei due presto si incrocia con quello di un investigatore e di un gruppo di individui che mangiano la plastica, una setta la cui presenza sposta le vicende del film verso territori di derivazione fantanoir.

“Crimes Of The Future” parte molto bene, regalandoci una prima ora assolutamente valida e per giunta controversa (i soliti ignoti fuggiti dalla sala a Cannes non fanno più notizia). Cronenberg entra dentro il corpo per mostrarci una bellezza interiore 2.0, seguendo un percorso tecnologico perennemente contaminato dalla sua immancabile filosofia distopica: il cinema estremo del regista canadese riparte così da dove si era interrotto (non è un caso che lo stesso Cronenberg abbia curato lo script), volteggiando stavolta in mezzo a libidinose riflessioni sull’arte, con lo sguardo rivolto a una società ormai quasi privata del dolore. A tal proposito, l’esperienza chirurgica altro non è che sesso, dunque piacere. Non ci si ferma più alla superficie, ma si scava giù tra le viscere, in un corpo artistico generato nel corpo (la pelle è soltanto un futile involucro da squarciare in due). Quando poi Saul Tenser non è in posizione orizzontale, lo possiamo osservare avvolto da una tunica nera, come se fosse un messia dalle sembianze misteriose.
Nella seconda parte, il film perde un po’ del suo potenziale, complice qualche dialogo di troppo e un didascalismo non sempre utile alla causa. Sapevamo già in partenza che “Crimes Of The Future” non sarebbe stato l’ennesimo capolavoro del Maestro, ma che si tratti di un prodotto di valore questo è fuori da ogni dubbio: gli interpreti sono eccellenti, Howard Shore non conosce declino (semplice ma efficace la sua colonna sonora) e si respirano ancora una volta delle atmosfere alquanto cupe e deprimenti, perché il futuro (biomeccanico) suggerito da Cronenberg non può che essere grigio e anestetizzato. La post-body art messa in scena dal regista si può dunque generare soltanto tra gli organi vitali, abbracciando la vita (la performance) e la morte (il tumore), per una nuova frontiera dagli oscuri contorni tecno-esoterici.

(Paolo Chemnitz)
