Vite Vendute

di Henri-Georges Clouzot (Francia/Italia, 1953)

Tra la fine dei 40s e l’inizio del decennio successivo, il cinema di Henri-Georges Clouzot esplode a livello internazionale. Il regista viene premiato a Venezia per “Legittima Difesa” (1947), per poi vincere sia a Cannes che a Berlino con “Vite Vendute” (“Le Salaire De La Peur”), uno dei film più importanti e influenti della sua carriera (insieme al successivo imprescindibile “I Diabolici”).
Girato in Francia ma ambientato in un misero e lurido villaggio dell’America latina, “Vite Vendute” mette in scena un dramma incentrato sulla tragica avventura di quattro personaggi: due francesi (Mario e Jo), un italiano (Luigi) e uno scandinavo (Bimba). Sono loro i prescelti per trasportare un grosso carico di nitroglicerina su due camion, un carico necessario per spegnere un incendio di dimensioni epocali scoppiato in un pozzo petrolifero a seicento chilometri di distanza. Un’impresa estremamente rischiosa da duemila dollari a testa, un premio tuttavia fondamentale per poter fuggire via per sempre da quel luogo senza speranza.

Le vicende entrano nel vivo dopo una lunga fase preparatoria, dove l’approfondimento dei quattro protagonisti (Mario è il più carismatico e intraprendente) va di pari passo con la descrizione impietosa di questa piccola comunità, composta principalmente da individui falliti e disperati (l’ambiente circostante è pregno di aria soffocante, come testimoniato dalle prime immagini del film). Accettare un lavoro così pericoloso diventa dunque l’unica possibilità per dare una svolta alla propria esistenza: il dramma umano si arricchisce così di tensione, fino a inglobare al suo interno elementi di marca thriller (“Vite Vendute” è praticamente un road movie in anticipo sui tempi, tra strade sterrate, imprevisti, tragedie, un rapporto non facile tra le due coppie di camionisti e la paura di saltare in aria da un momento all’altro).
Quando il capitalismo imperante (“wherever there’s oil, there’s americans”) offre un’importante possibilità di guadagno, c’è una trappola ben visibile dietro una tale occasione. Clouzot ritiene infatti miracoloso arrivare sani e salvi alla fine della missione: ecco perché il regista francese opta per un epilogo ancora più amaro rispetto a quanto visto in precedenza, un finale tanto cinico quanto necessario in cui il montaggio alternato si mette a dialogare (a ritmo di valzer) tra una morte beffarda e un malore improvviso. A Las Piedras, non c’è posto neppure per l’amore.
“Sorcerer”, il valido remake realizzato da William Friedkin nel 1977, si attesta comunque un paio di spanne al di sotto rispetto alla pellicola di Henri-Georges Clouzot, il cui lungometraggio (ancora oggi) non ha perso neppure un centesimo del proprio fascino (ricordiamo la fonte di ispirazione originaria del film, ovvero l’omonimo romanzo pubblicato nel 1950 dallo scrittore Georges Arnaud). “Vite Vendute” è dunque un crescendo inarrestabile di fatica, di sporcizia e di sudore, una corsa contro il tempo destinata a sprofondare senza pietà.

(Paolo Chemnitz)

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