Essex Boys

di Terry Winsor (Gran Bretagna, 2000)

Il 6 dicembre del 1995, lungo un sentiero di campagna dell’Essex, alcuni corpi senza vita furono ritrovati a bordo di una Range Rover. Quei cadaveri appartenevano a tre spacciatori appena giustiziati a colpi di pistola, un episodio che scosse non poco l’opinione pubblica del paese. Ancora oggi, nel Regno Unito, ci si riferisce a queste vicende con l’appellativo di Rettendon Murders, tre brutali omicidi che in patria hanno liberamente ispirato almeno una decina di pellicole: se “Essex Boys” ha inaugurato questa lunga tradizione, c’è da dire che il miglior film dedicato all’argomento è senza dubbio lo spietatissimo “Rise Of The Footsoldier” del 2007.
Per l’occasione, il regista Terry Winsor punta solo in parte i riflettori sulle esecuzioni, allargando l’orizzonte a una serie di situazioni ovviamente romanzate nel più classico spirito da crime movie britannico: “Essex Boys” è infatti un film verboso (oltre che volgare) dal ritmo abbastanza serrato, un prodotto violento incentrato soprattutto sul rapporto tra il boss Jason Locke (Sean Bean è perfetto nei panni di questo psicopatico appena uscito dal carcere) e il suo autista Billy (Charlie Creed-Miles), la cui voce fuori campo viene spesso utilizzata per dare manforte alla narrazione. Così facendo, tra spedizioni punitive (l’incipit all’acido è brutale) e intrighi sentimentali (la moglie di Jason ha un ruolo non trascurabile), l’opera lavora con la fantasia fino ai tragici fatti di cui sopra.
“Essex Boys” si guadagna una piena sufficienza grazie a un cast molto convincente, specialmente tra i protagonisti, al contrario di alcune ambigue figure secondarie purtroppo trattate con eccessiva superficialità. Poi ci sono le belle atmosfere rurali di questa contea a est di Londra, una zona ben sfruttata sia nei suoi scenari urbani che nei suoi angoli più remoti (la sparatoria nell’acquitrino chiude i giochi in maniera esemplare). Tuttavia, è lo svolgimento concitato del film a lasciare un po’ perplessi, come se Terry Winsor avesse voluto nascondere la polvere sotto al tappeto senza un vero approfondimento dei misfatti (pur avendo totale libertà rispetto alle vicende reali, si sente la mancanza di un filo conduttore all’interno della sceneggiatura).
Tra i tanti tributi nati sulle ceneri di questo celebre episodio di cronaca nera, “Essex Boys” si pone dunque come un discreto ma non imprescindibile punto di partenza: come abbiamo già osservato in precedenza, ci siamo divertiti molto di più nel 2007 con l’opera di Julian Gilbey, prima di una serie di mediocri sequel che hanno affossato definitivamente questa saga dedicata ai Rettendon Murders.

(Paolo Chemnitz)

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