
di Norbert Pfaffenbichler (Austria, 2021)
Tra i film più curiosi presenti nel programma della quarantaduesima edizione del Fantafestival (Roma, 1-5 giugno), spicca senza dubbio questo “2551.01”, il cui titolo rimanda a un anno ben preciso (lo 01 si riferisce invece al primo episodio, considerando che il regista austriaco Norbert Pfaffenbichler ha già in mente il secondo capitolo dell’opera).
Ci troviamo in un futuro distopico, dove il mondo sembra spaccato in due: in superficie si muovono le istituzioni (la polizia), mentre nelle fogne vivono i diseredati, una serie di personaggi privati del volto, dell’identità e della dignità. Le immagini iniziali sono inequivocabili, perché lo scontro tra le due fazioni è violento e devastante, anche per l’occhio dello spettatore (le accecanti luci strobo alimentano un vero e proprio clima di terrore, gli epilettici sono avvisati!). Durante queste fasi concitate, un bambino viene messo in salvo da un uomo, per poi essere condotto tra questi tunnel sotterranei popolati da innumerevoli individui mascherati. Seguiamo così il destino dei protagonisti e i loro bizzarri incontri, anche se per conoscere gli sviluppi definitivi di queste vicende, bisognerà per forza di cose attendere il sequel.
Esattamente un secolo dopo “Il Monello” (“The Kid”) di Charlie Chaplin, Norbert Pfaffenbichler realizza questo particolarissimo tributo al maestro britannico, spostando le vicende in un futuro dai contorni davvero inquietanti: messi ovviamente da parte i dialoghi, il regista austriaco punta tutto sulle atmosfere, alternando situazioni alquanto creepy ad altre estremamente grottesche, con riferimenti vintage che omaggiano persino il cinema di Tod Browning (“Freaks”). Gli emarginati, dopotutto, sono sempre stati accostati a qualcosa di deforme, di malato e di mostruoso.
Tale sguardo rivolto al passato entra spesso in collisione con l’attitudine steampunk di alcune sequenze, una sensazione che possiamo toccare con mano nella succitata scena di apertura (i chitarroni assordanti completano il caos) oppure nelle impennate successive, dove la colonna sonora cambia repentinamente umore spingendo queste figure ben oltre una semplice alienazione underground. Il risultato conclusivo, benché schematico nel suo svolgimento, si rivela molto affascinante ed esteticamente mai banale, anche nell’utilizzo della fotografia. “2551.01” è un dunque un horror sperimentale da assaporare con la giusta curiosità e con una certa predisposizione, un incubo weird che prende forma attraverso il cinema muto per poi esplodere nella decadenza di un futuro sporco e fatiscente.

(Paolo Chemnitz)
