Horror Puppet

di David Schmoeller (Stati Uniti, 1979)

Il cinema horror non ha mai sottovalutato il misterioso fascino dei pupazzi, delle bambole, dei burattini o dei manichini: a volte utilizzati come elementi di contorno (da “Profondo Rosso” a “Maniac”), altre volte invece protagonisti assoluti delle vicende. Ne sa qualcosa David Schmoeller, colui che nel 1979 ha diretto “Horror Puppet”, prima di dedicarsi (dieci anni dopo) al più conosciuto “Puppet Master”.
È un film piuttosto strambo questo in esame: con un budget decisamente risicato, il regista americano mette in piedi una sorta di slasher movie tuttavia ben lontano dai modelli in procinto di esplodere da lì a poco. Manca ancora la consapevolezza, nonostante un sadico assassino colpevole di una serie di uccisioni: tale mostro (di nome Slauson) è interpretato da un sempre valido Chuck Connors (attore all’epoca sul viale del tramonto), un uomo a dir poco ossessionato da questi pupazzi (li conserva nella sua casa-museo, raccontando che un tempo erano stati costruiti da un fratello poi morto). Indovinate un po’ chi poteva mai finire tra le grinfie di questo psicopatico? Un gruppo di amici in viaggio (da qui il titolo originale “Tourist Trap”), rimasti in panne a causa del solito guasto all’automobile.
Ancora oggi, questo film sarebbe in grado di terrorizzare un qualsiasi sprovveduto ragazzino seduto davanti allo schermo durante le ore notturne. Dopotutto, qui non ci sono le bamboline mainstream in stile “Annabelle” (2015), ma una serie di pupazzi e di manichini dalle sembianze più bizzarre e disparate. Peccato che i momenti maggiormente inquietanti della pellicola si alternino ad alcuni passaggi meno entusiasmanti e coinvolgenti: nonostante ciò, quel che resta sul piatto, è un prodotto altamente delirante per via dei suoi bislacchi contenuti. Certo, i riferimenti più o meno sparsi per “Psycho” (1960) e “Non Aprite Quella Porta” (1974) risultano abbastanza espliciti, tuttavia “Horror Puppet” cattura l’attenzione proprio per il suo elemento perturbante non solo terreno (il villain), ma anche sovrannaturale (le marionette diventano complici del protagonista).
Difetti e mancanze a parte (parliamo sempre di un lavoro esteticamente povero), questo lungometraggio raggiunge comunque una meritata sufficienza, anche solo per le sue atmosfere macabre e opprimenti (avvalorate da un azzeccato score musicale firmato Pino Donaggio). Il turbamento è assicurato.

(Paolo Chemnitz)

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