
di Sam Raimi (Stati Uniti, 2009)
“Drag Me To Hell” ha segnato il ritorno all’horror per Sam Raimi, impegnato negli anni precedenti con la celebre trilogia di “Spider-Man”. Indubbiamente c’era ancora bisogno di lui, poiché negli States questo genere cinematografico si stava facendo rubare lo scettro da alcune produzioni europee molto più valide (pensiamo soltanto alla grande stagione estrema francese). Se da un lato questa pellicola ha rimesso in circolo delle sensazioni positive, l’esperienza con i succitati blockbuster ci ha però riconsegnato un regista in parte diverso rispetto al passato.
Ancora una volta, Sam Raimi si cimenta con una maledizione, con un evento sovrannaturale che si palesa all’improvviso nel presente storico. La protagonista Christine (Alison Lohman) deve infatti convivere con una serie di terribili visioni scatenate da una zingara (da lei umiliata presso l’istituto di credito per cui lavora). La protagonista ha negato un prestito all’anziana signora, anche per mostrare il suo carattere duro e inflessibile davanti agli occhi del capo: una scelta destinata per l’appunto a rivoltarsi contro Christine, perseguitata da un demone (la Lamia) e costretta suo malgrado a rivolgersi sia a un veggente che a una medium, per scongiurare l’ipotesi di finire trascinata giù all’inferno.
Quando parliamo di horror e di Sam Raimi, è difficile non pensare al personaggio di Ash (Bruce Campbell), praticamente un elemento da sempre decisivo per le sorti di queste pellicole: ecco, qui manca proprio la sua presenza (Campbell non trovò neppure il tempo per apparire in un cameo, come concordato precedentemente), considerando che Alison Lohman non funziona al cento per cento, al contrario invece della zingara (le scene girate dentro l’abitacolo dell’automobile valgono da sole la visione del film). Il fumettoso aspetto horror fa la sua parte, tra vomito, qualche effettaccio riuscito e le immancabili riprese convulse/vorticose, nel rispetto di una tradizione tutto sommato sempre viva e pronta a deliziarci in maniera tanto divertente quanto sorprendente.
Viceversa, l’utilizzo esagerato degli effetti sonori lascia davvero il tempo che trova, un’espediente fin troppo abusato e probabilmente figlio di un nuovo Sam Raimi, quello uscito senza dubbio trasformato dall’esperienza hollywoodiana. Non a caso, “Drag Me To Hell” si rivela un lavoro ricoperto da una certa patina non sempre adatta al contesto, anche perché l’aria da vecchio b-movie suggerita da alcune sequenze (la seduta spiritica) viene letteralmente stravolta da un’estetica oltremodo pacchiana. Mettiamoci dentro pure un caprone parlante, giusto per non farci mancare nulla! Se comunque vi basta un po’ di gustoso intrattenimento, “Drag Me To Hell” è il film giusto per una serata senza grosse pretese. Perché Raimi è sempre Raimi, sia chiaro.

(Paolo Chemnitz)
