Mrak

di Dušan Milić (Serbia/Italia, 2022)

Tra i film più interessanti visti di recente al Trieste Film Festival, spicca questo “Mrak” (“Darkling”), una coproduzione tra ben cinque paesi (Serbia, Italia, Danimarca, Bulgaria e Grecia) per la regia di Dušan Milić. Qui a entrare in gioco è la travagliata storia contemporanea dei Balcani: la pellicola è infatti ambientata nel 2004, quando la tensione sociale nei confronti della minoranza serba in Kosovo raggiunse dei livelli incendiari. Un lungometraggio di parte? Certo, ma davanti all’orrore trasversale delle persecuzioni etniche o religiose, stabilire chi abbia ragione o meno a noi non interessa. Ciò che invece ci sentiamo di condannare è la violenza, da qualunque fazione essa provenga.
Egregio Signor Presidente, sono seduta sotto al tavolo, è buio pesto e sono terrorizzata. Anche accendendo una candela, non ci sarebbe abbastanza luce. Tutto resterebbe nell’oscurità”. A scrivere queste parole è la piccola Milica, la cui lettera è finita sotto i riflettori durante un convegno delle Nazioni Unite. Questa ragazzina vive con la madre e con il nonno in una decrepita casupola in mezzo al bosco: loro sono serbi e come altri vicini là attorno fanno parte di una minuscola comunità spesso minacciata dalla presenza dei kosovari. I soldati del contingente internazionale (KFOR) accompagnano Milica a scuola e la vanno a riprendere tutti i giorni, ma le loro operazioni si limitano alle ore diurne, lasciando questa gente nel terrore quando il sole scende giù all’orizzonte.
“Mrak” utilizza il linguaggio del cinema horror per parlarci, attraverso un efficace simbolismo, dell’angoscia che attanaglia questi individui durante la notte. La famiglia di Milica si barrica infatti dentro casa, perché là fuori (forse) c’è qualcuno intenzionato a ucciderli: i presunti nemici non li vediamo mai, ma si manifestano attraverso delle situazioni di pericolo provenienti da quell’oscura e impenetrabile foresta (a rimetterci la pelle sono innanzitutto gli animali della stalla, le cui carcasse diventano una sorta di segnale premonitore).
Il primo a scivolare nella follia è il nonno, un personaggio paranoico e scontroso destinato a entrare in collisione con chiunque, anche con i militari stessi (la cui presenza tuttavia non sembra portare l’auspicata serenità tra quelle lande). Ma c’è anche chi resta profondamente umano e razionale: è il caso di Milica e della sua timida e silenziosa mamma, due figure ottimamente interpretate e caratterizzate. Più che il cast, a funzionare è comunque il messaggio di “Mrak”, una metafora potente e convincente capace di farci toccare con mano l’orrore di sentirsi soli e abbandonati in una terra rivendicata a gran voce da un altro popolo. Se Dušan Milić avesse ridotto il minutaggio con qualche sforbiciata nella fase centrale, il risultato sarebbe stato ancora più lusinghiero, ma non è il caso di lamentarsi oltre il dovuto, perché “Mrak” è davvero un bel film.

(Paolo Chemnitz)

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