
di Jonathan Cuartas (Stati Uniti, 2020)
Scavando a fondo nei meandri del labirintico cinema indipendente americano, è difficile rimanere delusi. Nel caso di “My Heart Can’t Beat Unless You Tell It To”, primo lungometraggio diretto da Jonathan Cuartas, c’è anche la possibilità di restare sorpresi, considerando che questo horror attualizza a dovere la tematica del vampirismo facendola collimare con quella della solitudine e dell’emarginazione sociale. Perché oggi probabilmente, negli Stati Uniti, di vampiri come Thomas ne esistono a migliaia.
Questo ragazzo è malato, vive lontano dalla luce e per sopravvivere è costretto a bere quotidianamente del sangue umano: a rifornirlo di cadaveri da spremere come limoni sono il fratello Dwight e la sorella Jessie, il primo dal carattere remissivo e sottomesso, al contrario della donna, decisa a mantenere unito quel nucleo familiare fino all’ultimo dei propri giorni. Dwight esce spesso di casa a caccia di soggetti invisibili (barboni o prostitute) da ammazzare per la causa, nonostante egli sia ormai stufo di portare avanti questa rischiosa routine. Il suo sogno è infatti quello di fuggire via in un luogo lontano, possibilmente sul mare (Miami per lui sarebbe il posto ideale). Il fragile equilibrio di questa tragica e deprimente situazione è destinato tuttavia a spezzarsi.
“My Heart Can’t Beat Unless You Tell It To” (il titolo si riferisce a una canzone presente nel film) è un’opera molto triste, nella quale ogni abbozzo di sorriso viene automaticamente soffocato da una cappa di perenne claustrofobia (il formato 4:3 si rivela decisivo a tal proposito). A volte il regista dilata anche troppo le vicende del trio, ma è proprio attraverso questo approccio a lenta combustione che la pellicola riesce a metterci con le spalle al muro, facendoci vivere quasi in tempo reale una quotidianità a dir poco alienante, della quale sappiamo davvero poco o nulla (Jessie fa la cameriera, Dwight guadagna qualche dollaro rivendendosi i vestiti delle vittime, mentre Thomas sembra essere malato fin dalla nascita).
Come una bolla destinata a scoppiare, quella dei protagonisti è una storia fatta di miseria e di desolazione che fa soprattutto riflettere, al di là della metafora del vampiro, l’elemento cruciale per mezzo del quale Jonathan Cuartas ci racconta di un’America silenziosa e abbandonata a se stessa, in attesa del crollo verticale. Non serve dunque mostrare sullo schermo ettolitri di sangue o spettacolarizzare ogni scena per far colpo sullo spettatore, perché “My Heart Can’t Beat Unless You Tell It To” è un horror che si smarca con disinvoltura dai tanti prodotti commerciali provenienti dagli States. Una sottrazione che funziona e che annichilisce senza pietà.

(Paolo Chemnitz)
