Black Sheep

di Jonathan King (Nuova Zelanda, 2006)

In Nuova Zelanda vivono cinque milioni di persone e almeno trenta-quaranta milioni di pecore. Davanti a queste proporzioni da capogiro, per il regista/sceneggiatore Jonathan King non è stato difficile scegliere un animale simbolo a cui affidare le sorti di questo eco-vengeance. Inoltre, se consideriamo che lo stato oceanico ha dato i natali a un certo Peter Jackson, viene quasi spontaneo associare “Black Sheep” al vecchio cinema splatter del celebre regista neozelandese (“Bad Taste” e “Braindead” hanno scritto delle pagine indelebili in tal senso). Basta dunque fare un semplice due più due, per ottenere una passabile ma non fondamentale commedia horror di taglio vintage, niente di più e niente di meno.
La trama non ha molto da offrire: una sperduta fattoria gestita per intere generazioni dalla famiglia Oldfield, oggi è rimasta nelle mani del solo Angus, il quale testa nuove tecniche di allevamento compiendo degli esperimenti genetici sulle pecore. Suo fratello Henry, da tempo trasferitosi in città a causa di un vecchio trauma infantile (“ovinophobia, my therapist calls it”), è all’oscuro di tali accadimenti. Quando però egli fa ritorno nei verdi pascoli della campagna neozelandese, è costretto a vedersela contro un’orda di fameliche pecore assetate di sangue.
“Black Sheep” non ingrana immediatamente, ma una volta superata la prima mezzora di visione, si cominciano a intravedere i primi discreti risultati: fortunatamente, la scelta di ricorrere agli effetti artigianali dei tempi andati si rivela alquanto azzeccata, anche perché l’utilizzo della CGI avrebbe completamente mandato a puttane l’approccio old-school della pellicola. A tratti volutamente trash e demenziale, questo lavoro denota purtroppo un grosso limite per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi, tutti decisamente piatti, privi del giusto carisma e per giunta antipatici.
Qualcuno potrebbe pensare a “Black Sheep” come a un film decisamente originale per quanto concerne il cinema di genere a noi caro, eppure una pecora mutante si era già vista sugli schermi nel lontano 1973, quando Fredric Hobbs tirò fuori dal cilindro l’allucinante e weirdo “Godmonster Of Indian Flats” (una sorta di western moderno con tanto di ridicolo pecorone incazzato nero!). “Black Sheep”, contrariamente a quanto è stato scritto da qualcuno, non è affatto un remake della succitata pellicola, ma è tuttavia un lungometraggio morbosamente devoto al passato (per Jonathan King, registi come Peter Jackson o Sam Raimi restano dei punti di riferimento imprescindibili). Tanto di cappello a questa (innocua ma rispettabile) operazione nostalgia, anche se si poteva e si doveva osare di più: dopotutto in giro, di horror-comedy capaci di illuminarsi a intermittenza, ce ne sono fin troppe.

(Paolo Chemnitz)

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