
di Juan Diego Escobar Alzate (Colombia, 2019)
Il colombiano Juan Diego Escobar Alzate (classe 1987) è ancora giovane e ne deve fare di strada. Questo suo primo lungometraggio, seppur devoto al cinema di Alejandro Jodorowsky (il regista ha più volte dichiarato il suo grande amore per “El Topo”), non riesce infatti a tramutare in magia le tante interessanti premesse messe sul piatto. Le idee ci sono, l’alchimia ancora no.
La storia è ambientata nel cuore di una piccola comunità montana guidata da un predicatore chiamato El Señor (Conrado Osorio). Qui la paura del maligno è sempre al centro dell’attenzione: anche per tale motivo, ogni elemento perturbante da queste parti è visto con sospetto, da un semplice registratore (la tecnologia, la musica) a un personaggio proveniente dall’esterno (l’arrivo di un ragazzino viene fatto coincidere con la manifestazione di un nuovo messia). Attraverso questi passaggi, le tre figlie dell’uomo (Laila, Uma e Zion) cominciano a mettere in discussione le imposizioni morali e religiose a cui devono sottostare, non a caso la libertà va ricercata nella comunione con la natura e non nelle rigide regole dettate dal timore del giudizio divino.
In apparenza “Luz: The Flower Of Evil” può sembrare un classico folk-horror, a cominciare da una locandina non troppo lontana dalle suggestioni di “The Witch” (2015). La realtà però si rivela ben diversa, anche perché la pellicola fin dalle prime battute paga il suo tributo sia al cinema western che a quello fantasy, trasformandosi soltanto nella seconda parte in qualcosa di più oscuro e maligno.
La rappresentazione del cielo notturno è surreale, così come la scelta di ricorrere (nelle scene diurne) a una fotografia brillante e satura di colori, quasi a voler impregnare l’aria di una componente magico-esoterica sulla scia della grande tradizione latino-americana legata per l’appunto a queste tematiche. Ma Juan Diego Escobar Alzate non è Jodorowsky, anche solo per il fatto che questo film è privo di immagini capaci di ipnotizzare, di avvolgere o di tramortire lo spettatore: in poche parole, le atmosfere suggerite dal regista colombiano non funzionano, soprattutto perché l’opera non è supportata da una narrazione coinvolgente o concettualmente devastante. Di “Luz: The Flower Of Evil” restano così solo le buone intenzioni, un ponte sospeso sul vuoto che non riesce mettere in connessione la riflessione filosofica alle (nostre) emozioni. Nella lotta senza tempo tra dio e il diavolo, forse stavolta sarà meglio optare per una terza via.

(Paolo Chemnitz)
