
di Soi Cheang (Hong Kong/Cina, 2021)
Come un set a cielo aperto, Hong Kong è una metropoli da sempre riconoscibile al primo sguardo: il suo caos, il suo formicaio umano in perenne movimento, il suo tessuto urbano claustrofobico e schiacciato su se stesso, sono molte le prerogative che rendono unici i connotati dell’ex colonia britannica. Negli anni, il cinema noir locale ha avuto la fortuna di poterne sfruttare ogni suo oscuro anfratto, trasformandola più di una volta in un luogo pericoloso, violento e altamente controverso. Poi è tornato Soi Cheang e Hong Kong si è completamente trasfigurata, diventando con “Limbo” una porta spalancata sull’inferno.
“La mano mozzata trovata ieri apparteneva a una donna. Mano sinistra. Secondo l’autopsia, è stata recisa da un attrezzo arrugginito e smussato, lo stesso del caso di due settimane fa”. A parlare è il rude detective Cham (Ka Tung Lam), ormai convinto che in città ci sia in azione un brutale serial killer. Accanto a lui, troviamo il giovane e meno esperto poliziotto Will Ren. I due formano così l’ennesima coppia caratterialmente complementare vista mille volte sullo schermo, anche se l’assortimento qui funziona davvero alla grande. Tuttavia, per mettere le mani su quello spietato assassino, Cham ha bisogno di un’esca: egli la trova nella minuta Wong To, una ragazza con cui l’uomo ha già dei conti aperti, delle ferite (forse) insanabili che si riversano inesorabilmente sul loro rapporto.

Girato in un soffocante bianco e nero, “Limbo” si rivela il noir finalmente lercio e cattivo che tanto aspettavamo in terra orientale, almeno in questo 2021: dopotutto da un regista come Soi Cheang era lecito attendersi qualcosa del genere, alla luce dei suoi lungometraggi più acclamati (impossibile dimenticare il devastante “Dog Bite Dog”, uno dei migliori thriller orientali di inizio secolo). Il suo lavoro mette in mostra un eccellente dinamismo dietro la mdp, anche perché con “Limbo” non sarà stato affatto facile districarsi all’interno di una giungla urbana mai così sovraccarica nella messa in scena. Ci riferiamo ovviamente alle imponenti scenografie che mostrano una metropoli sommersa dai rifiuti, talmente putrida e maleodorante che scavando tra i cumuli di spazzatura, si possono rinvenire mani amputate o cadaveri in avanzato stato di decomposizione. Quasi una “Sin City” (2005) che incontra l’horror.
Al di là di una narrazione piuttosto schematica e priva di importanti colpi di coda, “Limbo” è un film capace di tramortire lo spettatore, trascinandolo nei luoghi più tetri e angusti di una città dominata dal crimine: ne ha passate tante Hong Kong in questi ultimi decenni (dal ritorno alla Cina fino alle più recenti rivolte giovanili), dunque l’idea di Soi Cheang sembra quasi volerci suggerire la sofferenza di quel territorio, oggi ridotto a un mero campo di battaglia. Piove senza sosta sulla vita dei suoi protagonisti, ma tra questi vicoli privi di speranza l’acqua non riesce a lavare via né la sporcizia, né la violenza.

(Paolo Chemnitz)
