
di John Llewellyn Moxey (Gran Bretagna, 1960)
La regione del New England viene spesso associata alla stregoneria (il processo di Salem ormai ha fatto epoca). In effetti, si tratta di un territorio ideale per mettere in scena quel particolare filone cinematografico dedicato a questo affascinante immaginario (“Maid Of Salem” risale addirittura al 1937). Ventitré anni dopo, il regista John Llewellyn Moxey sposta le vicende in una località di fantasia (Whitewood), raccontandoci una storia molto più inquietante e suggestiva: nasce così un piccolo classico del genere, “The City Of The Dead” (da noi “La Città Dei Morti”).
Il prologo è ambientato proprio alla fine del diciassettesimo secolo, quando tra questi villaggi sperduti alcune donne considerate streghe venivano condannate a morte: il caso di Elizabeth Selwyn, le cui disavventure diventano motivo di interesse per la giovane Nan Barlow, una studentessa intenzionata a raccogliere delle testimonianze sul campo recandosi di persona nella succitata località del Massachusetts. Whitewood si rivela però un luogo spettrale perennemente avvolto dalla nebbia, un posto che sembra nascondere dei segreti raccapriccianti legati a dei rituali sacrificali. Spinta dalla curiosità di conoscere approfonditamente il presente nonché il passato di questa comunità, Nan Barlow si ritrova così in grave pericolo (“they must sacrifice a young girl on two nights of the year”).
“The City Of The Dead” è stato spesso accostato al contemporaneo “Psycho” di Alfred Hitchcock, non tanto per le vicende raccontate, quanto per lo sviluppo quasi identico della trama: in entrambi i casi infatti conosciamo il destino della protagonista già nella parte centrale del film, una strategia narrativa utilizzata dai due registi come punto di rottura per spalancare le porte alla seconda faccia dell’opera (eccellente in “Psycho”, più che discreta qui). In questo caso è probabile che nessuno abbia copiato nessuno, considerando che si tratta di produzioni realizzate (nel lontano 1960!) in due aree geografiche separate dall’oceano.
Christopher Lee interpreta – in un ruolo minore – Alan Driscoll, ma nonostante tutto la sua presenza è come al solito monumentale per l’economia generale della pellicola. Il budget è quello che è, però queste atmosfere oscure e demoniache non si dimenticano facilmente, soprattutto quando vengono messe a confronto con l’umore allegro e festoso tipico della mondanità (la sequenza in cui il coltello affonda nella torta è un lampo di genio in netto contrasto con le drammatiche immagini di pochi secondi prima). Anche se oggi “The City Of The Dead” può sembrare un film ingenuo e poco originale, bisogna comunque giudicarlo con gli occhi di chi lo ha visto nel 1960: ecco perché, al di là dei semplici ingredienti messi sul piatto, questo breve lavoro merita ogni elogio possibile. “The basis of fairy tale is in reality. The basis of reality is fairy tales”. Niente di più vero.

(Paolo Chemnitz)
