
di Nagisa Ôshima (Giappone/Francia, 1972)
“Ecco L’Impero Dei Sensi” è una pietra miliare del cinema erotico mondiale, una vera e propria corrida d’amore (riferendoci alla traduzione del titolo originale “Ai No Korîda”) che Nagisa Ôshima realizzò ispirandosi a una storia vera accaduta in Giappone nel 1936. Insieme al celebre regista, troviamo Kôji Wakamatsu nelle vesti di produttore esecutivo, colui che spinse Ôshima a dirigere il film più controverso e censurato della sua carriera.
Sada Abe (qui interpretata da una sensuale Eiko Matsuda) è diventata famosa in terra nipponica per essere stata la spietata assassina del suo amante Kichizo Ishida (detto Kiki San), quest’ultimo proprietario di una pensione in cui la donna (con un passato da prostituta) lavorava come cameriera. La pellicola ripercorre gli incontri infuocati tra i due, fino al tragico epilogo, in cui si affacciano sullo schermo delle immagini estreme bagnate anche nel sangue (la mutilazione genitale come atto conclusivo di totale possessione dell’amato).
“Dell’erotismo si può dire, innanzitutto, che esso è l’approvazione della vita fin dentro la morte”. Questa frase di Georges Bataille è senza dubbio alla base di “Ecco L’Impero Dei Sensi”, una pellicola dove il rapporto tra eros e thanatos si manifesta alla massima potenza, superando persino le barriere temporali (il sesso viene praticato in qualunque momento, senza subire condizionamenti dalle tappe obbligate della quotidianità). C’è chi osserva di nascosto la coppia o chi suona uno strumento a corde durante gli amplessi, tutte situazioni che ruotano attorno a questo centro dell’universo messo in scena da Ôshima, un teatro dei sensi che non smette mai di sprigionare pulsioni viscerali, ossessive e soffocanti.
I due attori protagonisti non simulano, non a caso la pellicola è stata spesso accostata al cinema pornografico, ma anche nella versione integrale (dopo anni di becera censura) è l’erotismo a prevalere sulle derive prettamente carnali del film, perché “Ecco L’Impero Dei Sensi” è prima di tutto un contenitore filosofico in cui risalta il lato drammatico delle vicende, un aspetto che viene costantemente sottolineato dalla devozione e dal sacrificio (conclusivo), non senza l’utilizzo di simboli e di metafore (l’uovo sodo infilato nella vagina di Sada ci riporta al tema della fertilità).
Il successo dopo le ripetute proiezioni al Festival di Cannes del 1976 non è stato dunque un caso: quello di Nagisa Ôshima è infatti il racconto dettagliato dell’estasi sessuale nella sua forma più sincera e passionale, quella che conduce inesorabilmente al baratro, perché tutto ha un inizio e tutto ha una fine. In questo caso è l’amante stesso che si presta al sacrificio, al contrario di quanto avvenuto nell’altra pellicola incentrata sul caso in esame, il meno riuscito “Abesada – L’Abisso Dei Sensi” (1975) di Noboru Tanaka, dove emerge la gelosia della protagonista nei confronti della moglie di Kichizo Ishida.
Qui Ôshima mette in luce una visione oltranzista e persino romantica del rapporto di coppia, quello destinato a unire per sempre la vittima e il carnefice. Un coito infinito come strumento per raggiungere l’immortalità.

(Paolo Chemnitz)

prima o poi vorrei riuscire a vederlo
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