Morgiana

di Juraj Herz (Cecoslovacchia, 1972)

Insieme al celebre “Valerie And Her Week Of Wonders” (1970) di Jaromil Jireš, “Morgiana” chiude l’irripetibile stagione della nová vlna cecoslovacca, proseguendo lungo i binari della fiaba nera dai risvolti onirici e surreali. Probabilmente questo era l’unico modo per aggirare (in parte) le maglie della censura politica (diventata molto più repressiva in seguito alla Primavera di Praga del 1968), considerando che Juraj Herz già aveva avuto dei grossi problemi con il suo capolavoro “L’Uomo Che Bruciava I Cadaveri” (1969).
In “Morgiana”, lavoro ispirato al romanzo “Jessie e Morgiana” del russo Alexander Grin, si sente che manca qualcosa: in un primo momento Juraj Herz cercò di deviare dalla storia originale, ma il comitato di approvazione gli impose una sceneggiatura fedele al libro, limitando di fatto quelle intuizioni che avrebbero dovuto approfondire la psicologia instabile della protagonista negativa del film. Dopo questa controversa esperienza, il regime privò il regista della possibilità di girare nuove pellicole, anche perché secondo la critica locale, le opere di Herz erano eccessivamente sadiche, morbose e spaventose.
Il lungometraggio è incentrato sulla figura di due sorelle, Klára e Viktoria (entrambe interpretate da un’ottima Iva Janzurová), due personalità molto diverse tra loro non solo caratterialmente ma anche esteticamente (Viktoria veste soltanto di nero ed è sempre accompagnata dalla sua gatta Morgiana). Proprio questo felino è il silente testimone delle vicende che accadono sullo schermo, eventi che prendono forma dopo la morte del padre delle due donne. Klára riceve da lui una cospicua eredità, così Viktoria, turbata nell’animo dall’invidia e dalla gelosia, comincia a progettare l’avvelenamento della sua consanguinea.
“Morgiana” è un film che vive di contrasti: il bene contro il male, la luce contro il buio (negli ultimi minuti la fotografia tende a diventare sempre più cupa e tenebrosa), all’interno di uno sgargiante contenitore in cui l’elemento fiabesco/fantastico tende a prevalere su quello legato all’horror (di matrice gotica). Ci troviamo verso la fine del diciannovesimo secolo, dunque la cura per le scenografie e per i costumi è al limite del maniacale, mentre sullo sfondo corre una quasi onnipresente (nonché molto valida) colonna sonora firmata da Luboš Fišer. Ma il vero punto forte della pellicola è costituito dalla regia, ancora una volta capace di sperimentare le più stravaganti inquadrature (Herz si rivela un mago nell’utilizzo del grandangolo e delle soggettive). Se quindi in “Morgiana” vengono meno i toni più lugubri e austeri sovente presenti nelle opere conterranee del decennio precedente, bisogna comunque rimarcare l’indubbio fascino estetico di questa svolta scintillante pregna di eleganti cromatismi. Un cinema forse meno potente a livello di significati, tuttavia sempre di pregevole fattura.

(Paolo Chemnitz)

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