
di Joseph Losey (Gran Bretagna, 1962)
Per gli inglesi è “The Damned” (la celebre punk rock band londinese prese il nome proprio dal titolo originale del film!), mentre per noi è “Hallucination”. Questa pellicola diretta dallo statunitense Joseph Losey e prodotta dalla Hammer non ha mai ricevuto i giusti riconoscimenti, considerando che all’epoca non era affatto semplice parlare di politica e di nucleare in maniera così schietta e sincera. Losey invece, ispirato dal romanzo di fantascienza “The Children Of Light” di Henry Lionel Lawrence, preme sull’acceleratore del pessimismo più cupo e nefasto, trasformando “Hallucination” in un prodotto decisamente scomodo per quel decennio (nelle sale americane l’opera uscì tagliata di oltre dieci minuti).
La storia è ambientata in una non specificata località portuale britannica: inizialmente i protagonisti del film sono un gruppo di teppisti del luogo, una gang in stile “Arancia Meccanica” (Losey anticipa Kubrick di qualche anno) che spadroneggia nel centro cittadino. L’incipit tuttavia è fuorviante e viene tirato abbastanza per le lunghe. Da lì a poco però conosciamo Joan (la sorella del capo della banda) e un ricco turista americano in vacanza (Simon), sedotto proprio dalla giovane ragazza. In seguito a una serie di vicissitudini, i due fuggono via dalla città a bordo di uno yacht, per poi approdare nei pressi di un laboratorio militare, dove vivono segregati alcuni bambini (nati da madri contaminate con sostanze radioattive). Questi ragazzini vengono allevati in gran segreto per rifondare il genere umano dopo una probabile guerra nucleare in procinto di esplodere da un momento all’altro (“un giorno dovremo dirgli la verità e di certo non sarà molto piacevole”).
Durante la prima mezzora, “Hallucination” cambia registro fin troppe volte (c’è pure spazio per il melodramma), però quando ingrana, il film riesce a trasmettere una discreta angoscia nell’animo di noi spettatori: non solo veniamo trascinati nel baratro dalla presenza di queste cavie inconsapevoli del loro destino, perché ad annunciare l’imminente fine dell’uomo ci pensano anche delle inquietanti sculture (frutto della fantasia della celebre artista Elisabeth Frink) raffiguranti l’ansia di un conflitto atomico.
Joseph Losey ci parla soprattutto del potere, capace di nascondere al cittadino comune i suoi loschi programmi strategico-scientifici, mentre il mondo continua a cadere a pezzi senza pietà. L’ottimo bianco e nero della fotografia sottolinea al meglio questo clima freddo e privo di speranza, un grido di allarme che Joseph Losey lancia senza mai nascondere la mano: non a caso, molti anni prima, lo stesso regista era stato infilato nella lista nera dall’industria cinematografica americana, poiché considerato un sovversivo. Noi, ovviamente, siamo sempre dalla parte di quelli che danno fastidio.

(Paolo Chemnitz)
