La Calle De La Amargura

di Arturo Ripstein (Messico, 2015)

Arturo Ripstein (classe 1943) ha imparato le basi del mestiere collaborando con Luis Buñuel: è infatti il 1962 quando il giovane messicano lavora come assistente alla regia (non accreditato) sul set de “L’Angelo Sterminatore”. Da tempo considerato in patria uno dei cineasti più influenti e importanti di sempre, Ripstein non ha mai smesso di fare cinema, alternando titoli di alto spessore (“El Castillo De La Pureza”, “El Lugar Sin Límites”, “Profundo Carmesí”) ad altri meno apprezzati o comunque meno conosciuti dal pubblico. “La Calle De La Amargura”, una delle sue pellicole più recenti, è stata presentata fuori concorso a Venezia nel 2015.
Ancora una volta, è il cinema di Luis Buñuel a fornire degli spunti, in particolar modo il suo periodo neorealista, segnato proprio da una serie di lungometraggi girati in terra messicana. In questo caso, Arturo Ripstein modernizza le vecchie suggestioni del Maestro, girando l’ennesima storia di degrado sociale e ispirandosi a un caso di cronaca nera realmente accaduto (l’uccisione di due lottatori nani, ritrovati morti in una stanza d’albergo). I due piccoli wrestler sono i protagonisti del film, insieme a una coppia di prostitute sul viale del tramonto e ad altri personaggi non meno disagiati (una vecchia che chiede l’elemosina e un signore anziano che indossa biancheria femminile).
Traducendo il titolo dell’opera, questo squallido panorama altro non è che la strada dell’amarezza, un luogo dove la solitudine incontra la disperazione: Ripstein parte proprio da qui, avvolgendo lo spettatore con un ritmo molto blando all’interno di una messa in scena dal sapore teatrale, dove c’è spazio soltanto per l’intimità in chiaroscuro di questi individui. La narrazione passa dunque in secondo piano, scacciata via da un disegno corale denso di superbe intuizioni registiche ma anche povero di emozioni (non è affatto semplice entrare in sintonia con le disavventure di questi personaggi). Inoltre, la scelta di girare in digitale si rivela poco coerente con la descrizione di questi ambienti poveri e trasandati, per un risultato fin troppo pulito rispetto alle intenzioni originarie della pellicola.
“La Calle De La Amargura” (“Bleak Street” per i distributori anglofoni) sarà probabilmente apprezzato soltanto dai cinefili dal palato fine, soprattutto per via di un sontuoso linguaggio estetico che praticamente si sostituisce alla storia. Questa fitta trama di rapporti e di interazioni finisce quasi per nascondersi davanti al peso specifico delle inquadrature, a voler sottolineare una disumanizzazione costante segnata oltremodo dall’utilizzo delle maschere. Senza dubbio i vari paragoni con Fellini, Pasolini e Almodóvar suonano come una generosa esagerazione, al di là della preziosa disinvoltura di un regista qui già abbondantemente oltre i settant’anni di età. Peccato dunque per l’eccessivo distacco tra le vicende che scorrono sullo schermo e noi spettatori: una visione ammaliante, purtroppo priva di profondità.

(Paolo Chemnitz)

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...