
di Farugh Farrokhzad (Iran, 1963)
A volte basta soltanto un’opera per lasciare il segno. “The House Is Black” (“La Casa è Nera”) è infatti l’unico lavoro diretto da Farugh Farrokhzad, celebre poetessa persiana purtroppo scomparsa prematuramente nel 1967 a causa di un incidente stradale. Questo cortometraggio non solo pone le basi per lo sviluppo della new wave iraniana, ma ci sbatte in faccia una delle pellicole più strazianti dell’epoca (parliamo dei primi anni sessanta), un orrore che ancora una volta combacia perfettamente con la realtà.
“Su questo schermo apparirà un’immagine della bruttezza, una visione del dolore che nessun essere umano dovrebbe ignorare”. È una voce fuoricampo ad accompagnarci tra i fotogrammi del film, venti minuti in cui veniamo catapultati all’interno di un lebbrosario iraniano dove il tempo sembra essersi fermato: questi volti segnati dalla malattia sono infatti immortalati durante una routine quotidiana priva di speranza, dove tutto si ripete all’infinito (è un’inquadratura pietrificante quella che riprende un uomo che cammina avanti e indietro, mentre le didascalie scandiscono i giorni della settimana e i mesi dell’anno).
Nel documentario della Farrokhzad l’unica fonte di bellezza si trova al di fuori di quelle mura, guardando il cielo e le stelle: lì dentro invece regna la sofferenza, un dolore che neppure la preghiera è in grado di alleviare, perché la lebbra divora il corpo storpiando quei lineamenti sempre meno riconoscibili. La casa dunque è nera e non potrebbe essere altrimenti, lo sanno bene questi poveri scarti della società.
Farugh Farrokhzad, già apprezzata per le sue posizioni in netto contrasto con le autorità religiose e con i letterati conservatori, qui mette in scena tutta la sua sensibilità nei confronti degli emarginati, avvicinandosi a loro con assoluto rispetto e senza alcun pietismo di bassa lega. A tal proposito, l’illustre regista Chris Marker scrisse queste parole sulla pellicola: “Forough Farrokhzad aveva puntato dritto verso l’inguardabile, la lebbra e i lebbrosi, riuscendo a collegare – al di là della verità – questa lebbra a tutte le malattie del mondo”. Quelle che albergano nell’animo umano. Fondamentale.

(Paolo Chemnitz)

Una recensione impressionante! Voglio assolutamente recuperare quest’opera.
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