
di Sion Sono (Stati Uniti/Giappone, 2021)
Come per magia, il destino di Sion Sono (qui al suo primo lungometraggio in lingua inglese) ha incrociato quello di Nicolas Cage, la cui seconda vita nel cinema di genere si sta rivelando per certi versi sorprendente. A produrre troviamo la XYZ Films, giunta ormai alla sua quarta collaborazione con l’attore americano (dopo “Mom And Dad”, “Mandy” e “Color Out Of Space”). Questa curiosa commistione tra Stati Uniti e Giappone si rivela a dir poco spiazzante, considerando l’incredibile minestrone nel quale veniamo immersi fin dalle prime battute dell’opera: “Prisoners Of The Ghostland” può essere infatti collocato all’interno del filone post-apocalittico, un grande contenitore dove tuttavia trovano spazio ulteriori derive non meno importanti (horror, western, neo-noir, action e chambara, ovvero i celebri cappa e spada di provenienza nipponica).
Nicolas Cage interpreta Hero, un famigerato criminale sbattuto in cella dopo una tragica rapina. Solo lui però è in grado di compiere una missione speciale, ovvero quella di mettersi sulle tracce di una ragazza misteriosamente scomparsa (nel ruolo di Bernice c’è l’algerina Sofia Boutella). Incaricato dal governatore (Bill Moseley) di un’affascinante villaggio in cui i samurai convivono con i cowboy (ebbene sì!), Hero oltrepassa una frontiera segnata da una terribile maledizione, penetrando in un territorio ostile da cui nessuno è mai tornato indietro. Abbiamo dunque un nuovo antieroe (per l’occasione munito di tuta esplosiva), il cui compito sembra ricalcare quello di Snake Plissken in “1997: Fuga Da New York”. Partire, recuperare una persona sparita in un luogo off-limits e infine rientrare alla base da trionfatore.

Purtroppo, almeno in questa occasione, il personaggio interpretato da Nicolas Cage si rivela alquanto goffo e improbabile, un handicap per fortuna smorzato dall’attitudine assolutamente autoironica dell’attore statunitense. Il protagonista parla poco ma si fa notare nei momenti clou, regalandoci qualche siparietto piuttosto divertente (la sequenza del testicolo non si batte). Sono però tanti i passaggi a vuoto presenti nel film, non a caso la storia procede per accumulo di situazioni dosando in maniera eccessiva sia il sangue (poco, a dire il vero) che l’azione, qui relegata a un paio di scene di combattimento coreografate alla meno peggio.
L’impronta di Sion Sono si rivela comunque decisiva per le sorti dell’opera (ricordiamo che il film è stato realizzato con un anno di ritardo rispetto alle previsioni, complice un attacco di cuore che ha messo fuori causa per molto tempo il regista giapponese). Perché in fin dei conti “Prisoners Of The Ghostland” è un prodotto che lascia il segno soltanto nelle sue mirabolanti intuizioni estetiche: una buona regia ma soprattutto delle eccellenti scenografie (si passa con estrema nonchalance dalle luci al neon a degli inquietanti scenari post-atomici, mescolando le atmosfere più disparate). All’interno di questo grande esperimento cinematografico, Sion Sono non solo cita se stesso (l’approccio spudoratamente pop dell’incipit oppure la tragedia post-nucleare già toccata con “Himizu” e “The Land Of Hope”), ma si appropria di tanti modelli precostituiti – sia di stampo orientale che occidentale – assemblandoli con la solita maestria. Peccato che queste valide prerogative restino isolate nel vuoto cosmico raccontato dalla pellicola, un lavoro dove gli sprazzi di genio non vengono mai assecondati dalla sostanza narrativa e dalla flebile incisività riscontrabile nei vari personaggi.

(Paolo Chemnitz)
