Ballata Dell’Odio E Dell’Amore

di Álex De La Iglesia (Spagna/Francia, 2010)

“Ballata Dell’Odio e Dell’Amore” (“Balada Triste De Trompeta”) è il film più celebre tra quelli diretti da Álex De La Iglesia negli ultimi vent’anni, un lungometraggio già consacrato a Venezia nel 2010 con la vittoria del Leone d’Argento. È proprio tra questi fotogrammi che emerge il volto più eclettico del regista basco, non a caso l’incontro/scontro tra dramma, horror e cinema grottesco qui diventa un cuore pulsante che non smette mai di battere per ben centosette minuti (ci riferiamo ovviamente alla versione uncut, considerando che la pellicola uscì nelle sale italiane con dei vistosi e sciagurati tagli).
Ancora una volta, il cinema fantastico spagnolo ritorna sui temi dolorosi della guerra civile e del franchismo, partendo con un preambolo ambientato nel 1937 all’interno di un circo, dove un pagliaccio viene fatto prigioniero dalle milizie nonostante il suo tentativo di ribellione (la scena del machete sposta immediatamente in alto l’asticella della violenza). C’è un filo diretto tra questo individuo e suo figlio Javier (che tenta in tutti i modi di salvare il padre), un ragazzino che in seguito ritroviamo adulto sempre nelle vesti di clown (lui è un pagliaccio triste incapace di far ridere i bambini). È ormai il 1973 e la dittatura franchista è al capolinea, ma le ferite del passato sono ancora aperte e per Javier non resta che vendicare definitivamente i soprusi messi in atto da quel regime.
La trama solo in apparenza poggia sul dramma storico dei succitati eventi, perché le dinamiche circensi nelle quali si muove il nostro protagonista (un bravo Carlos Areces) mettono in circolo tante altre sfaccettature non meno importanti, a cominciare dal rapporto sempre più intimo tra Javier e la bella trapezista Natalia (Carolina Bang). All’interno di questa escalation fatta di irruenti intrighi sentimentali, di tagliente ironia e di spietati episodi di sangue, il film gira attorno a quel dualismo tra amore e odio già evidente nel titolo italiano, rinnovando tale complementarità anche con la presenza di un altro pagliaccio (Sergio) che invece riesce a far ridere il pubblico, un antagonista rozzo e violento totalmente in antitesi con Javier.
L’approccio di Álex De La Iglesia è indiscutibilmente sopra le righe, con Tarantino dietro l’angolo ma con un occhio di riguardo pure verso il cinema di Tim Burton (la fotografia e i dettagli scenografici), dopotutto “Ballata Dell’Odio e Dell’Amore” altro non è che un fumettone pulp in cui convivono i più disparati registri estetici, persino qualche eco felliniana. La prima parte del film funziona sicuramente meglio della seconda, anche perché con tutta questa carne messa sul fuoco si finisce inevitabilmente per perdere il controllo dello script (questo è un difetto che abbiamo riscontrato più volte nelle pellicole del regista iberico). Un caos che comunque ha il suo indubbio fascino, l’importante infatti è saper leggere in maniera istantanea le evoluzioni e i salti mortali compiuti senza sosta da De La Iglesia. Il cinema per lui è davvero un circo, dove ogni confine tra reale e immaginario si può camuffare dietro il ghigno di un pagliaccio.

(Paolo Chemnitz)

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