Imaculat

di Monica Stan e George Chiran (Romania, 2021)

Le Giornate degli Autori nascono nel 2004 come rassegna autonoma all’interno della Mostra del Cinema di Venezia, sul modello della prestigiosa Quinzaine des Réalisateurs di Cannes. L’obiettivo è quello di puntare sull’innovazione, sulla ricerca e sull’originalità espressiva, oltre che sull’indipendenza produttiva. “Imaculat”, film appena proiettato all’interno di questa rassegna, è un lavoro che rispecchia in toto le succitate prerogative.
La diciottenne Daria (Ana Dumitrascu) deve disintossicarsi dalla droga, per questo è stata appena ricoverata in una clinica di riabilitazione. Lei è una giovane di buona famiglia, finita nel giro dell’eroina per colpa del suo fidanzato, ora in carcere. Considerando che lì dentro sono quasi tutti uomini, Daria deve subito difendersi dalle mille attenzioni che ricadono su di lei, anche se il suo carattere ingenuo ma soprattutto innocente le permette di non essere toccata da nessuno, come se fosse un’entità candida e pura (immacolata, come suggerisce il titolo). Almeno in apparenza.
Non aspettatevi il classico film basato su dei tossici in astinenza che spingono le loro azioni fino alle più estreme conseguenze: al contrario, “Imaculat” è un dramma incentrato quasi esclusivamente sui rapporti umani che intercorrono tra i vari giovani ricoverati, all’interno di una silente gerarchia (con a capo Spartac) dove solo in alcuni frangenti si passa alle maniere forti (la scena del pestaggio). Questo perché l’opera racconta l’esperienza personale vissuta dalla regista Monica Stan, qualcosa di talmente intimo che in più di un’occasione la pellicola non sembra neppure volersi rivolgere agli spettatori (“avevo diciotto anni quando sono finita in riabilitazione. Ero sorpresa, stavo bene in quel posto. Nel mio ambiente borghese ero quella corrotta. Là, in mezzo agli altri tossicodipendenti, ero vista come una tipa speciale. Da adolescente insicura, ho abboccato immediatamente alle lusinghe. L’immagine che gli altri hanno di noi può sedurci al punto da identificarci con essa, finché non ci rendiamo conto dolorosamente che si tratta di un’illusione pericolosa”).
“Imaculat” è dunque un prodotto dal sapore fortemente autobiografico (anche troppo a dire il vero), un lavoro che mette in risalto la psicologia di una protagonista costretta ad affrontare (prima di tutto) se stessa. Una ripetitività che comunque fa parte del gioco, fin dalle immagini iniziali del film, quando veniamo immediatamente rinchiusi dentro un claustrofobico formato 4:3 capace di mettere ancora più in risalto le espressioni di quei giovani, ormai risucchiati dal bianco delle pareti e dal beige dei camici. A tal proposito, il regista che affianca Monica Stan è George Chiper, uno dei più apprezzati direttori della fotografia in terra rumena (nel 2018 “Touch Me Not” vinse a Berlino anche grazie a lui). Tirando le somme, possiamo definire “Imaculat” come un valido diversivo per chiunque fosse alla ricerca di un nuovo punto di vista sul tema della tossicodipendenza, al di là dei contenuti stessi dell’opera, piuttosto striminziti considerando un minutaggio che sfiora le due ore di durata. Un film che stranamente riesce a trasmettere disagio e fastidio non tanto per il comportamento dei vari personaggi, quanto per gli ambienti limitati della clinica e per un linguaggio estetico alquanto minimale e ortodosso (le inquadrature sono strette e soffocanti).

(Paolo Chemnitz)

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...