
di Alexandre Moratto (Brasile, 2021)
Dopo i buoni riscontri ottenuti dall’esordio “Socrates” (2018), Alexandre Moratto tenta l’allungo definitivo con questo secondo “7 Prisoners” (“7 Prisioneiros”), un durissimo dramma sociale proiettato proprio in questi giorni al Festival di Venezia (in autunno lo vedremo anche su Netflix). Il regista brasiliano qui inoltre ritrova il talentuoso attore Christian Malheiros, già protagonista nella sua prima pellicola.
Mateos ha diciotto anni e vuole aiutare economicamente la sua famiglia. Il giovane saluta tutti e parte dalle zone rurali del paese alla volta di San Paolo, per lavorare in una discarica di rifiuti metallici insieme ad alcuni coetanei giunti sul posto insieme a lui. Questa possibilità di migliorare la propria vita si trasforma però in un incubo a occhi aperti, ai ragazzi viene infatti negato il contratto (così come la paga), mentre quel luogo diventa giorno dopo giorno uno sporco carcere da cui è impossibile scappare via (Luca, il boss della discarica, minaccia con le maniere forti chiunque provi a prendersi gioco di lui). Mateos si ritrova così davanti a un bivio: ribellarsi davanti a questo disumano sfruttamento oppure cercare di assecondare i diktat sempre più rigidi imposti dal violento Luca?
Le risposte (perché le delicate scelte di Mateos in realtà sono molteplici) le scopriamo con il trascorrere del film, anche se bastano i primi quindici-venti minuti per finire con le spalle al muro insieme a questi poveri ragazzi pieni di belle speranze. Dopotutto “7 Prisoners” è la testimonianza diretta di un’atroce verità, di una ricchezza che fonda le proprie fortune sulla pelle dei nuovi schiavi, di uomini invisibili che lavorano quotidianamente in condizioni pietose in cambio del solo vitto e alloggio. La pellicola di Alexandre Moratto è dunque incentrata sul sistema (marcio) alla base di una nazione in via di sviluppo come il Brasile, una metafora che ovviamente possiamo estendere ai tanti paesi che da tempo hanno intrapreso la via del capitalismo sfrenato.
“Guarda, quel rame viene dalla discarica. Il tuo lavoro è ovunque”. Con queste parole Luca, indicando alcuni uomini che stanno sistemando dei cavi per le strade di San Paolo, spiega a Mateos che di giovani utilizzati come bestie da soma lì ce ne sono “abbastanza per far funzionare tutta la città”. Un discorso raggelante sul traffico di esseri umani provenienti da ogni dove, dunque non solo dal Brasile ma anche da altri stati centro-sudamericani.
“7 Prisoners” è il classico prodotto che ti incolla allo schermo per novanta minuti, merito di un cast veramente ottimo (eccellente Rodrigo Santoro nei panni dello spietato Luca, il cui personaggio ci riserva non poche sorprese) e di una storia serrata e dall’impatto devastante, anche grazie a una cornice metropolitana ricca di inquietanti contrasti (la città di San Paolo ci rimanda direttamente a un ennesimo doloroso capitolo del cinema brasiliano di taglio sociale, il celebre “Pixote” di Héctor Babenco). Segnatevi in grassetto questa pellicola di Alexandre Moratto: ha tutte le carte in regola per diventare un manifesto contemporaneo sugli orrori di un mondo ormai privo di speranze. Perché “7 Prisoners” è un film che sputa rabbia e pessimismo da ogni singolo fotogramma.

(Paolo Chemnitz)
