
di Tobe Hooper (Stati Uniti, 1986)
Quando un sequel viene realizzato molto tempo dopo rispetto all’opera originaria, c’è da aspettarsi di tutto. Come nel caso di “Non Aprite Quella Porta – Parte 2”, diretto da Tobe Hooper nel 1986, un film apparso sugli schermi di un’altra epoca rispetto al capolavoro “The Texas Chainsaw Massacre” (1974). Considerando che si tratta di due decadi completamente differenti tra loro, era praticamente impossibile attendersi qualcosa sulla scia del succitato prodotto: ecco perché, invece di ripetersi, Hooper ha creato un lungometraggio complementare al precedente, dunque barocco, sovraccarico nella messa in scena e dai contorni addirittura fumettistici.
Dennis Hopper interpreta il tenente Lefty Enright, zio di quella Sally che ricordiamo come grande protagonista nel finale del primo capitolo. Insieme all’aiuto di Stretch, una DJ locale, l’uomo si mette sulle tracce della celebre famiglia di psicopatici, ormai diventata in Texas una sorta di leggenda metropolitana (da quelle parti continuano a essere commessi numerosi crimini ricollegabili a loro, ma nessuno è mai riuscito a fermare la follia di questi cannibali).
Fin dalle prime battute del film è possibile intuire una svolta più easy in chiave tipicamente 80s, sia nella caratterizzazione dei personaggi (tutti un po’ sopra le righe) che nel linguaggio estetico, dove spicca una fotografia satura di colori capace di alleggerire non poco le atmosfere (il mood malaticcio del Texas rurale qui è solo un lontano ricordo). Tobe Hooper sceglie quindi dei toni da black comedy, tuttavia senza rinunciare a una fondamentale componente horror, avvalorata dagli effetti del solito Tom Savini (peccato per il taglio di alcune scene) e da una seconda parte sotterranea davvero divertente (il duello a colpi di motosega comunque lo avevamo già visto sei anni prima in “Motel Hell”).
Si parla sempre poco di questo sequel, eppure il primo Rob Zombie ha senza dubbio attinto da qui per plasmare alcune idee contenute nel suo esordio “La Casa Dei 1000 Corpi” (2003). Lo spirito presente in questo lavoro ha dunque la sua importanza, al di là delle critiche piovute inesorabilmente da chi ha continuato a paragonare “Non Aprite Quella Porta – Parte 2” con la storica pietra miliare del 1974. È logico che questo lungometraggio si rivela soltanto un simpatico diversivo per gli appassionati della saga, ma troppe volte si è sparato a zero contro un’opera tutto sommato godibile e dal ritmo spesso incalzante. In verità, il grande punto debole del film è rappresentato invece dal nostro amato Leatherface, qui interpretato (goffamente) non più dal buon Gunnar Hansen, bensì da un anonimo (persino in maschera) Bill Johnson.
Il regista statunitense demolisce consapevolmente il suo prototipo originario, evitando di prendersi troppo sul serio proprio alla luce di un decennio dove non c’era più spazio per il macabro realismo dei tempi andati: “Non Aprite Quella Porta – Parte 2” lo giudichiamo quindi con la giusta leggerezza, senza affibbiargli quella scomoda responsabilità che solitamente mette in ginocchio già in partenza il novantanove per cento dei sequel.

(Paolo Chemnitz)

finora della saga ho visto solo il remake con jessica biel parecchi anni fa; devo rimediare
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