King Leopold’s Ghost

di Pippa Scott e Oreet Rees (Stati Uniti, 2006)

Questo documentario prende ispirazione dall’omonimo best-seller di Adam Hochschild, un libro che esplora lo sfruttamento del Congo da parte di Re Leopoldo II del Belgio tra il 1885 e il 1908, una storia di soprusi e di atrocità che ha segnato per sempre le sorti di questa nazione, ancora oggi uno degli stati più poveri del mondo nonostante le infinite ricchezze minerarie presenti nel sottosuolo (il cobalto ha attirato da tempo sciacalli da ogni dove, con la Cina saldamente in testa al gruppo degli sfruttatori).
Anche se i gravi effetti collaterali della colonizzazione del continente africano li conosciamo bene un po’ tutti, il passato di quella che oggi è la Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) lascia davvero sgomenti: Leopoldo agì infatti da privato cittadino, incaricando l’esploratore britannico Henry Morton Stanley di sondare il terreno in modo tale da poter creare un vero e proprio impero coloniale, a quell’epoca sinonimo di potenza e di ricchezza. Senza mostrare alcun rispetto nei confronti della popolazione locale, Leopoldo inizialmente importò enormi quantità di avorio (con conseguente strage di elefanti), per poi forzare gli indigeni ad estrarre la gomma dalle piante, una speculazione che costrinse interi villaggi alla sottomissione e alla schiavitù (si può parlare di un vero e proprio genocidio, considerando un numero stimato di morti attestato sui dieci milioni di congolesi).
“King Leopold’s Ghost” si sofferma soprattutto sulle cronache dell’epoca, narrando questa tragica escalation tramite una voce fuoricampo e una serie di brevi ma efficaci interviste rivolte ad alcuni studiosi moderni: un documentario quindi piuttosto lineare e privo di chissà quali scoop, non a caso bastano le sole immagini per rendersi conto della drammaticità della situazione (le fotografie di repertorio parlano da sole, perché chiunque non fosse stato in grado di estrarre un quantitativo giornaliero di gomma ritenuto sufficiente dagli sfruttatori, subiva la mutilazione delle mani, poi utilizzate addirittura come moneta di scambio). Questo era il famigerato Stato Libero del Congo, un’esperienza nel terrore conclusasi soltanto nel 1908, quando il governo belga (spinto dall’opinione pubblica e dalle mostruose notizie che giungevano dall’Africa) decise di annettere quel territorio, proclamandolo Congo Belga e togliendolo di fatto dal dominio personale di Leopoldo (che morì alla fine del 1909). Lo stesso Joseph Conrad (qui citato più volte) scrisse il suo celebre racconto “Cuore Di Tenebra” in seguito al trauma emotivo subito durante il suo viaggio in Congo, dove fu testimone di svariate atrocità.
In “King Leopold’s Ghost” c’è anche spazio per la storia contemporanea, con uno sguardo alle recenti vicissitudini coloniali di questa nazione senza pace: si passa infatti dal governo dell’antimperialista e filocomunista Patrice Lumumba (poi giustiziato e sciolto nell’acido) al regime dittatoriale di Mobutu Sese Seko (un personaggio allucinante di quelli assolutamente da approfondire!), il cui colpo di stato fu appoggiato da belgi e americani (ma guarda un po’). L’opera ripercorre dunque quasi un secolo di storia, non senza qualche lungaggine, ma con uno spirito rivolto alla divulgazione più schietta e sincera di una delle tante vergogne che hanno segnato il nostro recente passato. Dopo tanto dolore, non resta che domandarsi: ma quanto fanno schifo tutti questi personaggi che poi finiscono sui libri di storia?  

(Paolo Chemnitz)

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