
di Denis Côté (Canada, 2019)
Denis Côté è un regista indipendente da tanti anni attivo in Québec, una provincia a maggioranza francofona del Canada orientale. Il suo cinema (sperimentale) è fortemente legato alle zone rurali di questo territorio, spazi e luoghi indefiniti dove i rapporti umani sono spesso segnati dalla solitudine e da un senso di costante isolamento: “Curling” (2010), la sua pellicola più celebre (premiata anche a Locarno), resta l’esempio più calzante di questa gelida desolazione. Con “Ghost Town Anthology” (“Répertoire Des Villes Disparues”) la sostanza cambia relativamente, nonostante Côté introduca un elemento horror sovrannaturale piuttosto inquietante.
Il giovane Simon sbanda improvvisamente sulla neve e muore in un incidente d’auto: suicidio o semplice disgrazia? Nessuno è in grado di capirlo nella piccola comunità dove si svolgono le vicende, un paese di circa duecento anime nel quale tutti si conoscono. La morte di Simon è una tragedia che richiede una lunga elaborazione del lutto: ogni personaggio reagisce in maniera diversa, ma quando tra quelle strade imbiancate iniziano ad apparire una serie di individui precedentemente defunti, ci si interroga su cosa stia davvero accadendo in quel villaggio.
Sono magnifiche le atmosfere innevate di questo lungometraggio (la scelta di girare in 16mm si rivela azzeccata), suggestioni che sembrano provenire dal passato e che giustamente rifuggono eventuali tentazioni patinate e/o commerciali. Denis Côté non si focalizza su una figura in particolare, ma ci parla costantemente degli spettri (mentali) che aleggiano attorno a questa comunità, incapace di scacciare i fantasmi del passato proprio per via del suo isolamento e della sua chiusura (sintomatico è il rifiuto di ricevere supporto psicologico tramite un’equipe proveniente da fuori). Il ritmo tuttavia è molto blando, una peculiarità da mettere in conto prima di intraprendere la visione dell’opera, onde evitare di restare delusi da una storia che in fin dei conti ha poco da raccontare.
Interessante è infine questa componente horror dai tratti quasi metafisici, anche se è opportuno sottolineare che tali apparizioni non implicano affatto l’arrivo di morti viventi o di creature barcollanti: si tratta invece di visioni spettrali capaci di scatenare una certa inquietudine (si potrebbe fare un timido accostamento con “It Follows”, almeno per quanto concerne quelle figure immobili che si materializzano davanti agli occhi dei protagonisti). Una svolta allucinata che avrebbe meritato più spazio, alla luce di un disagio condiviso pregno di fascino e di mistero. “Ghost Town Anthology” è comunque un prodotto che merita una chance, soprattutto se siete curiosi di conoscere da vicino il cinema sospeso e minimale di Denis Côté. Lui e il Québec sono una cosa sola.

(Paolo Chemnitz)
