
di Werner Herzog (Germania Ovest, 1970)
Werner Herzog affermò a suo tempo che questo era “un film malato, diretto da un malato”. Dopotutto il regista tedesco era appena rientrato da un viaggio in Africa, terra di violenza e di disperazione la cui influenza si rivelerà determinante per la sua carriera. Sempre in quel periodo (ci troviamo agli sgoccioli dei 60s), l’Europa stava ancora vivendo gli anni della contestazione giovanile, una rivoluzione culturale sul cui esito il regista aveva le idee molto chiare. Perché qualunque forma di ribellione, senza un vero obiettivo e senza una guida, finisce per ritornare al punto di partenza, come se non fosse successo nulla.
Quello che accade in “Anche I Nani Hanno Cominciato Da Piccoli” (“Auch Zwerge Haben Klein Angefangen”) non è poi tanto dissimile da quanto scritto sopra: il proverbiale cinismo di Werner Herzog qui infatti esplode in maniera diretta e brutale, attraverso una rivolta dai contorni grotteschi che non sembra voler raggiungere alcun particolare scopo. In questa colonia penale per nani (tutti attori non professionisti portati per l’occasione a Lanzarote, dove furono effettuate le riprese) la ribellione prende vita con estrema naturalezza, in assenza del direttore dell’istituto. I piccoli protagonisti cominciano così a scagliarsi contro cose, animali e persone (persino contro altri ospiti della struttura meno fortunati, come i due fratelli ciechi), fino alla distruzione definitiva che ovviamente risposte non dà (anzi, crea ulteriori domande).
“Anche I Nani Hanno Cominciato Da Piccoli” è una pellicola completamente folle e visionaria che bisogna interpretare facendo collimare le succitate vicende storiche del periodo con le idee che in quel momento passavano per la testa del regista: è necessario dunque spremere le meningi per dare un significato più o meno coerente a questo squallido panorama sociale messo in discussione da Herzog, un mondo devastato in cui periscono soprattutto gli innocenti (la scrofa oppure la scimmietta crocifissa). In questo caso non serve neppure scomodare, come alcuni hanno fatto in passato, un’opera come “Freaks” (1932), perché la pellicola del regista tedesco è un frullato di violenza e di anarchia che non ha precedenti, un film che al massimo anticipa di poco la risposta giapponese firmata Shûji Terayama (concettualmente parlando, non mancano le similitudini tra il lungometraggio in esame e il delirante “Emperor Tomato Ketchup”).
Altri spunti interessanti sulla genesi e sulle metafore del film sono racchiusi nella famosa conversazione con Werner Herzog dal titolo “Incontri Alla Fine Del Mondo”. Il regista definisce l’opera come qualcosa di molto più radicale rispetto alle premesse, un incubo capace di materializzarsi in maniera istintiva (il copione fu buttato giù in cinque giorni). Ma il punto più importante sottolineato durante l’intervista, è il fatto che lo stesso Herzog si era reso conto di aver ridicolizzato la rivoluzione, anziché promuoverla (questa ribellione pregna di amarezza e dagli esiti fallimentari fu ampiamente criticata proprio dai movimenti studenteschi contemporanei, i quali bollarono il film come fascista). In realtà questo è un lavoro privo di riferimenti ideologici però facilmente travisabile, un prodotto persino ostico da seguire e sotto diversi aspetti non ancora all’altezza dei futuri capolavori del regista. Tuttavia qui le idee funzionano e il risultato complessivo si rivela più inquietante del previsto, proprio perché alla fine quei nani siamo noi, mentre il vero mostro è la società che ci siamo creati attorno.

(Paolo Chemnitz)
