Jallikattu

di Lijo Jose Pellissery (India, 2019)

Il termine Jallikattu indica un evento della tradizione asiatica che si svolge nelle zone meridionali dell’India, dove una folla di uomini si riunisce ciclicamente per cercare di domare un bufalo lasciato libero in mezzo alla gente, prendendolo ovviamente per le corna. Una pratica decisamente controversa nella quale si contano ogni volta morti e feriti (sia tra le povere bestie che tra i partecipanti), un po’ come avviene in altre parti del mondo (la famigerata corsa dei tori a Pamplona oppure le vaquejadas brasiliane, un’usanza quest’ultima che abbiamo conosciuto da vicino nel valido “Neon Bull” di Gabriel Mascaro).
Il cinema indiano, capace di produrre centinaia e centinaia di film ogni anno, ci parla di questa antica tradizione in maniera tuttavia diversa dalle premesse, virando fin da subito da un ipotetico approccio antropologico a un altro di stampo prettamente sociologico: il bufalo in questione qui infatti lo vediamo abbastanza di rado, surclassato da una nevrosi collettiva messa in risalto da un montaggio a dir poco isterico e da una serie di dialoghi fitti e caotici (in “Jallikattu” non si parla, si urla). La storia dunque non si basa sugli aspetti rituali/folkloristici di questa pratica, ma si sviluppa attorno al disordinato inseguimento messo in atto da questa comunità rurale a caccia dell’animale nella foresta (il bufalo in realtà è sfuggito a dei macellai che dovevano utilizzarlo come carne per un banchetto).
Narrativamente parlando, quello di Lijo Jose Pellissery è un film che non ha molto da dire, proprio alla luce della scelta di puntare sul gruppo e non sul singolo: un’opera corale quindi, a tratti confusa ma tenuta in piedi da una regia di livello e da alcune scene veramente degne di nota (la folla munita di torce che cerca la bestia durante la notte o le sequenze attorno al pozzo, tecnicamente ineccepibili). La rinuncia all’esaltazione del singolo individuo non è affatto casuale, anche perché “Jallikattu” è soprattutto una psicosi di massa, una riflessione piuttosto interessante sulle regole non scritte che possono manipolare le azioni di un’intera comunità, portandola fino all’esasperazione (il regista sconfina persino nel grottesco quando si tratta di focalizzarsi sui comportamenti di questi strambi personaggi).
Anche se il cinema di confine indiano lo conosciamo relativamente poco, ben vengano dei prodotti di questo tenore: “Jallikattu” è infatti una pellicola primordiale, anarchica e impetuosa, tutte peculiarità che dobbiamo leggere positivamente e che bilanciano una sceneggiatura molto frivola e superficiale che alla lunga mostra inesorabilmente la corda. Per i più curiosi, un’opera con il suo perché.

(Paolo Chemnitz)

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