Vengeance

di Johnnie To (Hong Kong/Francia, 2009)

Dopo aver realizzato una serie di pellicole fondamentali per la storia del cinema action/crime/noir orientale (impossibile non menzionare “A Hero Never Dies” oppure “Exiled”), Johnnie To nel 2009 si presenta a Cannes con un lungometraggio-tributo alla scuola transalpina: “Vengeance” infatti non solo è un sentito omaggio alle opere di Jean-Pierre Melville, ma è anche una coproduzione tra Hong Kong e Francia in cui la star assoluta è Johnny Hallyday, celebre attore/cantante d’oltralpe poi scomparso nel 2017.
Il titolo non lascia molto spazio alla fantasia, poiché “Vengeance” (da noi trasformato in “Vendicami”) è una parola che da sola riassume l’intera trama del film, un lavoro incentrato sulla figura di Francis Costello, chef parigino dal passato controverso costretto a partire per Macao dopo aver ricevuto una tragica notizia: la famiglia di sua figlia, lì residente, è stata appena sterminata da un gruppo di malavitosi, così per il nostro protagonista non resta che affidarsi a tre loschi criminali locali (incrociati per caso in un hotel), gli unici personaggi che possono aiutarlo a portare a termine la sua vendetta (l’azione presto si sposta dalle luci al neon dell’ex colonia portoghese alle insostituibili atmosfere di Hong Kong, dove si nascondono gli esecutori e i mandanti di quei delitti).
È la sublime regia di Johnnie To a salire in cattedra fin da subito, una padronanza del mezzo che sopperisce alle carenze narrative dell’opera, molto buona nella prima parte ma più lenta e sfilacciata nelle fasi centrali, quando sarebbe stato opportuno tagliare qualche scena un po’ farraginosa. Nulla da dire invece sulle sequenze action, sempre coinvolgenti e piuttosto violente, al di là di un utilizzo non troppo convinto della CGI. Anche a livello concettuale, il regista prosegue nella sua inesorabile carrellata di criminali tutti legati da un’amicizia virile più forte di qualunque altra cosa, una peculiarità portata addirittura all’estremo quando i tre mafiosi rifiutano del cibo offertogli dai sicari della famiglia uccisa, unendosi al medesimo gesto compiuto poco prima da Costello. “Vengeance” non cambia quindi di una virgola l’idea di cinema di Johnnie To, spostando comunque l’attenzione su dei fattori studiati appositamente per un ipotetico successo su scala internazionale (in realtà mai arrivato).
Gli attori funzionano, ma i vari Simon Yam o Anthony Wong sovrastano non di poco l’eccessiva glacialità del protagonista, mettendo ancora una volta a dura prova quel linguaggio estetico che tenta la via della commistione tra diverse scuole cinematografiche: senza dubbio la compatibilità tra il noir di matrice orientale e quello storico dei maestri francesi ha più senso rispetto alle tante forzature che abbiamo visto in passato (il periodo hollywoodiano di John Woo), ma è chiaro che preferiamo il Johnnie To più tradizionale, quello coerente con i suoi modelli più autentici. A tal proposito, risultano persino superflue certe divagazioni copiate e incollate da altre celebri pellicole, una su tutte quella che riporta in luce le stesse identiche situazioni già viste in “Memento” (in questo caso è il francese Costello a dover ricorrere ad alcuni stratagemmi per superare le sue amnesie). “Vengeance” è dunque una gioia per gli occhi ma allo stesso tempo è un film che non convince al cento per cento, affossato qua e là da un approccio manierista con un piede da una parte (Hong Kong) e un piede dall’altra (il french touch si sente eccome ma risulta meno determinante del previsto). 

(Paolo Chemnitz)

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