Splatters – Gli Schizzacervelli

di Peter Jackson (Nuova Zelanda, 1992)

Dal capostipite “Blood Feast” (1963) di Herschell Gordon Lewis al fondamentale “Splatters – Gli Schizzacervelli” (1992) ne è passato di sangue sotto ai ponti: ventinove anni di differenza, esattamente come dal 1992 al 2021, un altro periodo in cui il filone splatter ha continuato a regalarci infinite soddisfazioni. Se Lewis (da sempre soprannominato The Godfather of Gore) ha introdotto tante belle frattaglie nel cinema horror, Peter Jackson ha battuto ogni record annaffiando con ettolitri di sangue questo suo spassoso lungometraggio, l’apoteosi definitiva capace di chiudere virtualmente la grande stagione splatter degli 80s (perché “Braindead”, questo il titolo originale dell’opera in esame, altro non è che l’ultima incredibile appendice legata al decennio precedente).
I casini cominciano sull’isola di Sumatra, dove nel lontano 1957 un gruppo di esploratori si mette sulle tracce di una fantomatica scimmia-ratto, una creatura brutta come la fame e terribilmente aggressiva. Quando anni dopo ritroviamo l’esemplare nello zoo di Wellington, conosciamo anche i principali protagonisti del film, ovvero l’impacciato Lionel, la sua spasimante Paquita e l’oppressiva madre di lui (Vera), una signora anziana sconcertata da tale relazione: la donna infatti inizia a pedinare il figlio in ogni dove, anche all’interno dello zoo (dove i due piccioncini avevano scelto di trascorrere del tempo insieme). Qui però la scimmia azzanna il braccio della vecchia, scatenando un’epidemia zombi che lentamente si propaga per tutta la zona (“they’re not dead exactly, they’re just… sort of rotting”).

Questa è una commedia horror che non ha davvero bisogno di presentazioni: già dopo una manciata di minuti assistiamo alla celebre scena del pranzo, una schifosissima e purulenta sequenza entrata di diritto nella storia, uno dei tanti momenti esilaranti di una pellicola dove nulla è lasciato al caso, nemmeno la regia, ricca di inquadrature piuttosto sghembe e fantasiose (Jackson si diverte non poco con il grandangolo). L’apice splatter giunge poi puntuale durante le fasi conclusive del film, quando il regista ricorre alla bellezza di trecento litri di sangue finto per la famosa carneficina con il tosaerba, roba da guinness dei primati. Tutto questo all’interno di un lungometraggio al limite della perfezione, una pietra miliare del cinema horror dove non si avverte mai la presenza di qualcosa fuori posto (dai personaggi ai magnifici effetti, passando per il bilanciamento tra humour nero e critica politicamente scorretta alla borghesia neozelandese).
Il quartiere residenziale dove si svolgono le vicende viene trasformato in un campo di battaglia infernale, per una visione grottesca ed esasperata capace di ribaltare letteralmente la vita apparentemente tranquilla dei nostri protagonisti: questo forsennato capovolgimento di fronte rappresenta una chiave di lettura importante del film, perché “Splatters” non è solo emoglobina tout court ma è anche una grandissima prova di personalità per Jackson, un regista che (pur citando il passato) qui è riuscito ad ammantare di genio e sregolatezza le sue mille strambe idee, prendendosi persino gioco del cinema horror stesso. “Splatters” è dunque un prodotto sfacciato, estremo e dannatamente sopra le righe, esattamente quello che serviva nel 1992, quando il movimento si stava inesorabilmente ammosciando. Stracult (evitate però la versione doppiata in italiano). 

(Paolo Chemnitz)

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