
di Registi Vari (Italia/Spagna, 2021)
Il cinema estremo non ci aveva ancora parlato della vorarefilia, termine che possiamo abbreviare nel più semplice vore. Si tratta di una parafilia che associa il piacere sessuale all’atto di essere mangiati o di divorare un altro individuo: tale feticismo, inattuabile nella realtà (il cannibalismo è infatti un’altra cosa), si può assecondare attraverso la fantasia dei vari soggetti, la cui immaginazione può essere stimolata tramite racconti erotici, fumetti, videogiochi e persino documentari (pensiamo a quei serpenti che inghiottiscono le loro prede in un colpo solo).
“Vore Gore” ha dunque carta bianca per farci viaggiare con la mente assieme ai tanti protagonisti dell’opera, anche perché si tratta di un’antologia horror divisa in ben nove segmenti, un lavoro corale distribuito proprio in questi giorni dalla sempre attiva TetroVideo. Se l’iniziale “Mouth” del basco Mikel Balerdi funge praticamente da piccolo antipasto, è con il successivo frammento “Sweet As Honey” (regia di Emanuele Marchetto) che il film entra nel vivo, regalandoci qualche interessante squarcio di perversione. Chi si supera è però Lorenzo Zanoni con il suo “Finger Licking Good”, uno short dove lo scarico di un lavandino diventa l’oggetto sessuale di un ragazzo affetto da questa parafilia: un buco di acciaio si trasforma quindi in una vagina immaginaria in cui buttare dentro occhi, dita e persino il proprio membro (in poche parole, un festival di sangue davanti allo specchio del bagno come non si vedeva dai tempi di “The Big Shave”).

Se l’allucinato “Please, Not In My Mouth” di Poison Rouge non lascia grandi ricordi, si ritorna su buoni livelli con l’originale “Italian Ladies Do It Better” di Irene Jones Baruffetti, un segmento nel quale la vera protagonista è una macchina da cucire (un’escalation a dir poco malsana in cui è coinvolta la stessa regista, qui anche attrice). Torniamo poi fuori dall’Italia con il caotico e weirdo “Infernal Gluttony 2” di Patrick Fortin (nulla di speciale a dire il vero), un breve lavoro che lascia spazio al disturbante “Yummy Fur” diretto dai White Gardenia, ovvero gli americani Daniel Valient e Cherokee Nevin: questa volta la fantasia viene messa da parte, poiché la ragazza inquadrata dalla telecamera (una tipa molto particolare amante di Burzum, Mütiilation e Gorgoroth) sta per compiere un gesto atroce, tra forbici infilate nella vagina (il sangue che cola fa spavento) e una tragica automutilazione del clitoride (il pezzettino sacrificato viene poi ingerito senza batter ciglio). Lo shock è servito.
Infine, non poteva mancare un corto (“Stretching”) dello stakanovista Domiziano Cristopharo, un lavoro immediatamente riconoscibile grazie alla solita valida fotografia e all’immancabile pisello al vento del protagonista di turno: ancora una volta, il regista sfrutta al meglio l’unico vero attore (Lorenzo Fedele) a sua disposizione, offrendoci un discreto diversivo legato alla tematica del film. Un tocco visionario (girato anche tra le strade di Monteverde a Roma) che presto lascia spazio all’epilogo diretto da Dario Almerighi (“The Egg”), un segmento senza infamia e senza lode tuttavia capace di chiudere dignitosamente un horror estremo nel complesso più che sufficiente, al di là di alcuni inevitabili passaggi a vuoto (le antologie funzionano spesso come un’altalena, tranne rare eccezioni). Masochisti di tutto il mondo, unitevi, qui c’è roba per voi.

(Paolo Chemnitz)
