
di Roberto De Feo e Paolo Strippoli (Italia, 2021)
Roberto De Feo e Paolo Strippoli lo ammettono senza nascondersi dietro un dito. Non poteva esserci titolo più onesto e ruffiano di “A Classic Horror Story”, una produzione Netflix che rinuncia a qualsiasi tipo di novità pur di restare aggrappata all’interno di una comfort zone riconoscibile all’istante. Rischiare qualcosa di più personale o azzardato? Nemmeno per sogno, tanto in Italia l’andazzo è sempre lo stesso: dove ci sono le idee più genuine girano sempre pochi soldi da investire, meglio dunque andare sul sicuro per cercare di acchiappare quel pubblico più giovane/ingenuo che di horror importanti forse ne ha visti ancora pochi.
I due registi girano in Puglia ma ambientano le vicende in Calabria, dove un camper condiviso da cinque persone sta viaggiando per raggiungere una destinazione comune. Un brutto incidente ferma però la corsa dei nostri, costretti a dover abbandonare il mezzo tra la fitta vegetazione che nel frattempo si è misteriosamente sostituita alla strada. Da questo preciso momento ha inizio una lotta per la sopravvivenza non priva di sangue e di svolte inattese, anche per via del ruolo ambiguo e controverso di uno dei protagonisti.
La trama non ha molto da offrirci, considerando il prevedibile approdo verso lidi di matrice folk-horror, un approccio puramente iconografico (belle le maschere) ma assolutamente lontano da qualsiasi riferimento antropologico (qui viene buttata in mezzo la mafia). Dopotutto è bastato “Midsommar” (2019) per far esplodere una pentola che già da tempo bolliva a pieno regime, un contenitore dove ormai le leggende popolari sono state soppiantate da quel paganesimo mainstream tanto ammaliante quanto approssimativo. In fondo questa non è la Calabria, ma è il punto di incontro tra varie location che hanno scritto le pagine più affascinanti del cinema horror internazionale, dal Texas di Tobe Hooper alle foreste tanto care a Sam Raimi. In assenza di una vera identità territoriale, “A Classic Horror Story” si rifugia così nello stereotipo, nel generico, nel vago folklore che tale non è.
De Feo e Strippoli non si fanno mancare proprio nulla, nemmeno la final girl di turno: sono brave comunque le due povere malcapitate (a convincere è soprattutto Matilda Lutz, già vista in “Revenge”), due attrici sicuramente più efficaci rispetto alla loro controparte maschile. C’è poi da rimarcare una confezione generale ben al di sopra della media nazionale del periodo, dove a spiccare non è solo una valida fotografia, ma anche una cura scenografica mai lasciata al caso (specialmente quando la pellicola entra nel vivo degli eventi). Si rivela inoltre azzeccata la colonna sonora (qui alcuni classici della musica italiana funzionano a meraviglia), una delle poche peculiarità che ci ricordano la provenienza tricolore di questo prodotto, un’opera che in verità nasce per trovare terreno fertile al di fuori dei nostri confini (proprio grazie ai suoi riferimenti di ampio respiro, ben lontani dal reale impatto folkloristico che da secoli contraddistingue il nostro meridione).
Ecco dunque a voi una classica storia dell’orrore, un film tutto sommato riuscito nelle intenzioni (e tecnicamente discreto) ma allo stesso tempo fin troppo paraculo nei suoi consapevoli processi di accumulo: non a caso il costante citazionismo presente tra questi fotogrammi tende a specchiarsi in maniera esagerata minuto dopo minuto, finendo per sfociare dentro un’inevitabile metacinema pronto a tappare ogni buco all’occorrenza. L’ironia è una buona cosa e sotto questo punto di vista “A Classic Horror Story” fa bene a non prendersi eccessivamente sul serio, ma siamo sicuri che sia questa la strada giusta per una eventuale riscossa del cinema horror nazionale?

(Paolo Chemnitz)
