
di Prano Bailey-Bond (Gran Bretagna, 2021)
Per gli appassionati di cinema horror, deve essere stato un periodo molto particolare quello dei primi anni ottanta: con la diffusione delle videocassette era ormai possibile recuperare molti titoli del passato, alcuni dei quali finiti nell’oblio dopo un veloce passaggio nelle sale cinematografiche. Tuttavia nel Regno Unito la situazione era alquanto delicata, non a caso nel 1979 James Ferman (per tanti anni segretario della British Board of Film Classification) aveva già capito come sarebbero andate a finire le cose: “audiences in Britain never see the worst the world’s film-makers have to offer. Films glorifying rape, the torture of naked women, the degradation of adolescent girls, the infliction of serious bodily harm through easily copied weapons, the casual slaughter of animals – such things are habitually cut or rejected in the British cinema. If they were permitted, I believe the public would demand that the police and the courts and Parliament take a far tougher line with cinema than they have so far”. Fu così che il governo conservatore di Margaret Thatcher istituì un sistema di regolamentazione per il mercato home video, dunque dei comitati addetti alla censura. La nascita di una lista nera, quella dei Video Nasty.
La regista gallese Prano Bailey-Bond non ha mai nascosto la sua passione per questo periodo così controverso, dopotutto più un film subiva dei tagli, più esso acquistava fascino presso i suoi estimatori. Un gusto del proibito e della trasgressione spesso complementare al divieto imposto. “Censor” è ambientato durante quegli anni e segue il lavoro di Enid, una donna impiegata proprio all’interno di questa commissione, dove quotidianamente queste pellicole venivano visionate per poi essere segate (la discutibile morale di questi individui decideva in merito, senza una vera e propria linea comune condivisa). Questo bel tuffo negli 80s presto però rivela il suo carattere folle e visionario, Enid infatti è convinta di aver visto sua sorella (scomparsa tempo prima) in uno di questi film: per lei ha dunque inizio un’ossessione in bilico tra realtà e finzione, alla ricerca della verità.
C’è davvero una bella idea dietro questa pellicola, un soggetto intrigante che potremmo in parte accostare a un altro prodotto british di recente memoria, “Berberian Sound Studio” (2013) di Peter Strickland. La partenza è molto valida e quando sullo schermo atterrano i titoli di testa, i più attenti di voi potranno riconoscere dei piccoli spezzoni di alcuni video nasty che all’epoca fecero urlare allo scandalo (da “The Driller Killer” a “Nightmares In A Damaged Brain”). La ricostruzione storica è efficace così come lo sono le atmosfere, una cornice credibile dentro la quale agisce la nostra disturbata protagonista, ben interpretata da Niamh Algar.
Parlare però di “Censor” come parziale occasione mancata è comunque un dato di fatto non trascurabile, soprattutto alla luce di uno script fin troppo statico nella parte centrale del film, quando il delirio di Enid comincia a fare il suo corso. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: “Censor” è un buon prodotto se lo consideriamo come un omaggio dichiarato a quella particolare stagione censoria, ma lo è molto di meno se lo prendiamo come un oggetto a sé stante, sia per i suoi limiti narrativi che per una componente nasty qui ovviamente non pervenuta (si poteva osare molto di più). Per Prano Bailey-Bond un debutto dunque curioso e promettente, tuttavia ancora acerbo per quanto riguarda la sostanza in esso contenuta.

(Paolo Chemnitz)
