
di Elio Petri (Italia/Francia, 1965)
Troppe pellicole che oggi vengono spacciate per originali e innovative dovrebbero prima fare i conti con il passato. La ferocia dei rapporti individuali, l’invadenza dei mass-media, l’omicidio legale come sfogo per mantenere una condizione di pace, tematiche di questo tipo le ritroviamo spesso nel cinema contemporaneo, sia nei film d’autore che in quelli destinati al puro intrattenimento. È giusto allora fare un grosso passo indietro fino al 1965, anno in cui Elio Petri dirige questo thriller fantascientifico (ispirato al breve racconto “The Seventh Victim” di Robert Sheckley) incentrato proprio sugli argomenti di cui sopra. Un lungometraggio avanti anni luce sotto molti punti di vista.
Ci troviamo in un futuro prossimo, dove è possibile iscriversi a un club per partecipare alla grande caccia, una competizione internazionale nella quale un computer designa delle vittime e dei carnefici. Una volta uccise dieci persone, si può riscuotere un premio in denaro, oltre a raccogliere fama e onorificenze. Caroline (Ursula Andress), ormai arrivata a quota nove, parte per Roma per dare la caccia all’ultima preda, un individuo svogliato di nome Marcello nel frattempo impegnato a risolvere diversi problemi familiari (se non avete mai visto Marcello Mastroianni con i capelli ossigenati, questa è la volta buona).

“La Decima Vittima” è prima di tutto un film piuttosto difficile da classificare: se l’elemento thriller si sposa immediatamente con le derive distopiche (l’incipit nel locale per masochisti è uno spettacolo), col passare dei minuti la pellicola si arricchisce di elementi da commedia grottesca, per un risultato spesso in bilico tra il serio e il faceto (non che sia necessariamente un male, sia chiaro). Elio Petri è stato uno dei più lucidi osservatori della contemporaneità italiana, dunque questo suo balzo in avanti è da interpretare come un vero e proprio esperimento allegorico, una metafora sociale in cui è possibile rintracciare una chiara lettura del presente storico (la satira come strumento di critica del capitalismo, dove l’essere umano viene equiparato a un qualsiasi bene di consumo usa e getta).
In apparenza “La Decima Vittima” sembra raccontare un giochetto facile facile, eppure ci permette anche di riflettere sull’amore e sulla morte (altrui), quest’ultima intesa come stimolo a competere per raggiungere un obiettivo importante. L’arrivismo sopra ogni cosa, considerando che c’è persino una troupe televisiva capace di trasformare ogni azione in mero spettacolo da dare in pasto alle masse. Se non fosse stato per quel finale (imposto) all’acqua di rose e francamente molto deludente, quello di Elio Petri sarebbe stato un film quasi perfetto: le splendide scenografie pop art, le musiche di Pietro Piccioni (in cui c’è anche Mina), la buona sceneggiatura (alla cui stesura parteciparono pure Tonino Guerra ed Ennio Flaiano), non sono affatto pochi i pregi di questo lavoro, un lungometraggio che anticipa tante cose e che guarda ben al di là della fantascienza sociale. “Perché controllare le nascite quando possiamo aumentare i decessi?”. Attualissimo.

(Paolo Chemnitz)

Visto non molto tempo fa, e apprezzato, non capivo il perché di una simile fine… non avevo pensato alla cosa più ovvia: la fine carina imposta.
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