Matar A Dios

di Caye Casas e Albert Pintó (Spagna/Francia, 2017)

Dio esiste? Si può uccidere? Ma soprattutto, se davvero fosse un uomo in carne e ossa, sarebbe un infame nano barbuto che beve vino come se non ci fosse un domani? “Matar A Dios” (“Killing God” per il mercato internazionale) non risponde quasi a nessuna di queste domande, però prova a scherzarci sopra buttando nella mischia una tonnellata di black humour e quattro personaggi piuttosto disagiati. Ne esce fuori una commedia nera venata di horror nel più classico stile iberico, perché in Spagna questi film li sanno scrivere e dirigere pure a occhi chiusi (Álex De La Iglesia ne sa qualcosa).
Il budget a disposizione di Caye Casas e Albert Pintó è piuttosto limitato, non a caso soltanto l’incipit (belli i titoli di testa) è girato all’aperto: questo vecchio nanerottolo incappucciato minaccia subito un padre di famiglia alla guida in aperta campagna, facendoci capire che il destino lo manovra lui, nel bene o nel male. Trascorrono pochi minuti e finiamo dentro la casa di Carlos e Ana, una coppia di personaggi bislacchi che sta litigando per un presunto tradimento di lei. L’uomo sta attendendo suo fratello minore (Santi è depresso e vuole suicidarsi) e il loro anziano papà, vedovo ma edonista (nonostante l’età molto avanzata, egli va a puttane e si diverte come può). Mentre si avvicina la notte di Capodanno, il nano si manifesta nel bagno di questa villetta isolata, per poi apparire davanti a questi quattro disperati lasciando intendere che l’apocalisse è vicina e che il mattino seguente soltanto due di loro resteranno in vita. Inizia un bel casino, questo è poco ma sicuro.
Le buone interpretazioni dei vari protagonisti, accompagnate da dialoghi serrati (oltre che brillanti e pungenti), rappresentano un ottimo biglietto da visita per questo simpatico lungometraggio, una profetica lotta per la sopravvivenza basata soprattutto sulle intuizioni del momento, sui (leciti) dubbi e sul nonsense. Un bizzarro frullato di idee non sempre messo a fuoco a dovere (la trama è povera), tuttavia capace di non annoiare per circa novanta minuti di visione.
Il nanetto in questione potrebbe farvi tornare in mente il clochard già visto in “Borgman” (2013), anche se nel caso in esame l’elemento perturbante non mira a una critica sociale, bensì a una pseudo-riflessione filosofica: per i due registi Dio probabilmente esiste ed è un essere arrogante e crudele (il cosiddetto misoteismo) che prende per il culo i poveri ignoranti a lui devoti, ecco perché ucciderlo non sarebbe poi così sbagliato (“we killed God and saved the human race”). Qui però si gioca a un livello abbastanza superficiale, inutile dunque scomodare il nichilismo nietzschiano e l’inesorabile complessità di tali argomenti (al di là del personaggio di Santi, forse l’unico anello di congiunzione tra la pellicola e queste vaghe supposizioni). “Matar A Dios” rimane quindi confinato dentro quel cinema fantastico votato al puro intrattenimento, con qualche ambizione intellettuale di troppo che ne limita il risultato finale.

(Paolo Chemnitz)

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