
di Vidal Raski (Danimarca, 1973)
Ai fautori nonché ai cultori del cinema exploitation non è mai mancata la fantasia, ecco perché qualcuno (molto prima di noi) si è preso persino la briga di coniare il termine dwarfploitation per dare un significato ancora più specifico a questo tipo di pellicole. Quelle dove i protagonisti sono dei nani, meglio se infami. In realtà in “The Sinful Dwarf” (“Dværgen”) ne incontriamo uno solo, tale Olaf, un tipo poco raccomandabile appassionato di giocattoli meccanici: ma non è tutto, poiché questo piccolo sgorbio grazie al suo hobby riesce ad attirare nella sua squallida pensioncina delle povere ragazze, le quali una volta drogate vengono rinchiuse in soffitta e avviate alla prostituzione.
Questa è soltanto la premessa di un horror che potremmo definire più semplicemente come un women in prison sui generis, anche perché buona parte della storia verte sullo sfruttamento di queste giovani senza veli (alle quali ben presto si aggiunge la malcapitata Mary, appena giunta nel lurido alberghetto in compagnia dell’ingenuo marito). Tuttavia la figura del fin troppo bizzarro e macchiettistico Olaf (un nanerottolo che fa le stesse smorfie di Bombolo!) non è neppure sfruttata a dovere, al contrario di quella di sua madre, una ex showgirl alcolizzata capace di spaccare in due lo schermo con i suoi deliranti siparietti.
Se nel lontano 1973 “The Sinful Dwarf” ottenne una visibilità prossima allo zero nel suo paese di origine (la Danimarca), il film fu invece direttamente bannato in Svezia: guarda caso proprio durante quell’anno i vicini scandinavi diedero alla luce un revenge movie poi diventato di culto (“Thriller: A Cruel Picture”), un’opera esteticamente molto simile a quella in esame girata dallo sconosciuto Vidal Raski. Anche in questo caso infatti la regia è anonima e bisogna assolutamente rivolgersi ad altro per dare un senso alla visione della pellicola, ci riferiamo in particolare alle atmosfere, tanto lugubri quanto pregne di totale depravazione.
Per scrivere questa recensione ci siamo basati sulla recente edizione home video americana edita dalla Severin Films, quella a nostro avviso più coerente e completa, considerando che qui il minutaggio è alimentato da alcune scene pornografiche più o meno esplicite tutt’altro che fuori contesto (come invece era accaduto nella succitata pellicola svedese). “The Sinful Dwarf” è dunque un curioso guilty pleasure da recuperare al di là delle sue mille imperfezioni, qualcosa di sporco e perverso che ci riporta dritti nel ventre più genuino del cinema exploitation. Quello povero come la merda, ma privo di qualunque filtro morale.

(Paolo Chemnitz)
