
di Juanma Bajo Ulloa (Spagna, 1993)
Durante i primi anni novanta, in Spagna emerge una nuova generazione di registi indipendenti, alcuni poi diventati celebri su scala internazionale (pensiamo all’eclettica e brillante carriera di Álex De La Iglesia). Al contrario, Juanma Bajo Ulloa ha sparato le sue migliori cartucce soltanto all’inizio, dirigendo un paio di film drammatici veramente oscuri e perversi, “Alas The Mariposa” (1991) e questo “La Madre Muerta” (1993), due pellicole purtroppo sconosciute nel nostro paese.
Ismael Lopez (Karra Elejalde) è un criminale senza scrupoli: durante una rapina egli colpisce a morte una donna, ferendo tragicamente anche la piccola Leire, la figlia della vittima. Molti anni dopo ritroviamo la protagonista ormai cresciuta (ottima l’interpretazione di Ana Álvarez) ma tuttavia traumatizzata, Leire infatti non parla, ha paura del sangue e trascorre gran parte del tempo in una casa di cura. L’incontro casuale tra lei e Ismael riaccende nell’uomo il desiderio di far sparire per sempre quella ragazza, anche perché Leire sarebbe perfettamente in grado di riconoscerlo. Aiutato così dalla sua compagna, lo psicopatico rapisce la giovane con l’intento di ammazzarla (una scelta che tuttavia si rivela fallimentare, poiché gli eventi prendono una piega a dir poco inaspettata).
“La Madre Muerta” è un dramma molto cupo, sia a livello estetico (la fotografia tende a sopprimere ogni bagliore di luce) che a livello concettuale (ciò che prevale è un senso di inestirpabile amarezza). Ulloa indovina soprattutto i personaggi, creando un triangolo pericoloso lei-lui-lei non privo di tensione erotica, un equilibrio poco stabile minato dalla morbosità stessa della storia e permeato da una costante fragilità psicologica che non risparmia nessuno dei tre protagonisti (curioso invece il fatto che Ismael e Leire condividano la medesima passione per la cioccolata).
Al contrario, qualche forzatura nella trama non ci permette di volare oltre un certo limite, ma si tratta comunque dell’unica strada percorribile dal regista, un sentiero tortuoso che per forza di cose travolge ogni possibile certezza presente nello script: anche per questo motivo “La Madre Muerta” è una pellicola capace di sorprendere e di sferrare dei colpi bassi a volte inaspettati, rimescolando di continuo i rapporti di potere tra vittime e carnefici. Al resto ci pensa la location (il film è stato girato principalmente a Vitoria-Gasteiz e dintorni, nei Paesi Baschi), un angolo di Spagna ben lontano dall’assolato immaginario presente in un certo cinema iberico. Perché questa scuola cinematografica, quando vuole, sa essere nerissima.

(Paolo Chemnitz)
