Genesis

di Nacho Cerdà (Spagna, 1998)

I trenta minuti di “Genesis” chiudono alla grande la trilogia della morte di Nacho Cerdà, regista catalano che proprio durante gli anni novanta è riuscito a esprimere al massimo il suo talento. Non tanto con il primo “The Awakening” (1990), quanto con i successivi due capitoli della trilogia, da sempre considerati fondamentali per comprendere il cinema estremo di marca iberica e il suo rapporto con la morte.
In “Genesis” ritroviamo ancora una volta Pep Tosar, già protagonista (suo malgrado) nel disturbante e imprescindibile “Aftermath” (1994). Questa volta l’attore veste i panni di uno scultore incapace di elaborare il lutto dovuto alla scomparsa della moglie, deceduta in seguito a un incidente stradale: l’uomo decide così di realizzare una scultura in onore della donna, un’opera d’arte che lentamente comincia ad animarsi (la perdita di sangue) fino a prendere letteralmente vita. Al contrario, il destino dello scultore sembra imboccare una direzione opposta (la pietrificazione), per quello che possiamo definire il più classico dei sacrifici d’amore.
Se è vero che stavolta Nacho Cerdà abbonda con un lirismo pregno di straziante partecipazione emotiva (una sensazione amplificata dalla musica di Beethoven), “Genesis” altro non è che una poesia di struggente bellezza, una glorificazione della morte che il regista pone in netta antitesi alla profanazione della morte stessa vista nel precedente “Aftermath”. Lo scultore celebra la sua amata fino a farla risorgere, in un circolo di emozioni dove ovviamente non c’è spazio per le parole, ma solo per un violento impeto romantico (sembra esserci un sottile collegamento tra “Genesis” e il giapponese “Guinea Pig: Mermaid In A Manhole”, un film del 1988 nel quale un uomo traumatizzato dalla perdita della moglie utilizza l’arte come unica forma di salvezza).
Esteticamente raffinato e mai banale nelle sue suggestioni (ereditate dall’antichità classica), “Genesis” ci delizia con trenta minuti di grande cinema, ponendosi come il corto più maturo di Cerdà anche se non il più originale e devastante della trilogia. Se “Aftermath” è il culto estremo, “Genesis” è la sua controparte decadente e letteraria, come se tra queste immagini si nascondesse una tragica storia d’amore raccontata in qualche vecchio libro ricoperto dalla polvere.

(Paolo Chemnitz)

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