
di Andrés Goteira (Spagna, 2017)
Se oggi i giovani registi spagnoli ci riescono, quelli italiani sembra invece che abbiano paura di provarci. Non è necessario dirigere un capolavoro o chissà quale pellicola da tramandare ai posteri, perché l’importante è saper osare, rischiando anche di fare il passo più lungo della gamba. Andrés Goteira (qui al suo debutto) probabilmente è andato oltre le sue reali possibilità, ma intanto si è messo in gioco. Una voglia di sperimentare che emerge già dall’utilizzo della lingua galiziana al posto dello spagnolo, quasi a voler creare un prodotto prettamente locale ma dal significato universale.
Attraverso una didascalia, l’incipit ci decripta subito questo strano titolo: da una parte dogs (animali sottomessi e obbedienti) e dall’altra hogs (animali sporchi e perversi), ovvero due facce della stessa medaglia. Perché “Dhogs” altro non è che uno spietato ritratto dell’essere umano, capace di saper interpretare sia il ruolo della vittima che quello del carnefice. Dipende sempre da chi incontriamo sulla nostra strada.
La trama qui non ha molta importanza, il film infatti mette in scena una serie di situazioni concatenate in cui i vari protagonisti interagiscono tra loro, come se il filo della sceneggiatura fosse tenuto in mano dal caso e dal destino. Se inizialmente siamo a bordo di un taxi, successivamente finiamo dentro un albergo in compagnia di un uomo d’affari e di una donna alquanto disinibita, in attesa di cambiare location passando dalla notte della città alle aride distese assolate di una zona semi-desertica, un luogo da film western nel quale un paio di loschi personaggi stanno per compiere qualcosa di orribile. Chi prima dominava, sghignazzava o sorrideva, adesso rischia di crepare senza pietà, questo è il succo del discorso.
La prospettiva diventa ancora più interessante quando la macchina da presa si sofferma su una serie di spettatori seduti dentro un teatro, uomini e donne intenti a osservare ciò che accade davanti a loro (un amplesso, uno stupro o un colpo di fucile in testa), un’esperienza diretta che odora sia di voyeurismo che di consapevolezza. Noi guardiamo ciò che siamo, niente di più che un branco di animali destinati a soggiogare o a soccombere (e forse c’è pure qualcuno, nascosto dietro uno schermo, che decide per noi).
In poche parole “Dhogs” non è soltanto un film magnetico o un bel ritratto (a volte) in campo lungo della Spagna più inospitale, perché dietro queste immagini (anche molto violente) si agita silenziosamente una riflessione tanto ardita quanto intrigante. Peccato soltanto che Andrés Goteira ci abbandoni sui titoli di coda con troppe domande senza risposta, non a caso “Dhogs” ha il profumo selvaggio dell’opera incompiuta che poteva svilupparsi ulteriormente a livello concettuale: questo non accade e ciò avvalora il fatto che siamo al cospetto di una pellicola da prendere con le pinze, dove il coraggio del regista non corrisponde sempre a un risultato lucido ed equilibrato. Tuttavia con queste premesse, non sarà difficile compiere l’auspicato salto di qualità.

(Paolo Chemnitz)
