A Slit-Mouthed Woman

di Kôji Shiraishi (Giappone, 2007)

“Kuchisake-Onna” è il titolo originale di un horror che ripesca una figura tipica del folklore giapponese (Kuchisake-Onna significa per l’appunto donna dalla bocca spaccata). Il regista Kôji Shiraishi si è tuttavia soffermato su un aspetto più moderno legato a questo personaggio, riportando alla luce una leggenda metropolitana non troppo distante nel tempo, nella quale si parla di una donna con la bocca coperta da una mascherina che ferma i passanti (soprattutto i bambini) ponendo loro la fatidica domanda “am I pretty?”. Qualunque sia la risposta, Kuchisake-Onna può uccidere o nella migliore delle ipotesi sfregiare il volto di questi poveri malcapitati.
In una zona suburbana della città (Tokyo, presumibilmente), gli alunni di una scuola elementare sembrano terrorizzati dai racconti che si fanno attorno a questa figura: tocca dunque all’insegnante Kyôko Yamashita indagare sulla sparizione di alcuni piccoli, rapiti persino sotto gli occhi di tutti da questa donna che appare all’improvviso brandendo tra le mani delle affilatissime forbici. Un film che praticamente riprende alcuni elementi dei più celebri j-horror popolati da spettri e fantasmi, contaminandoli con un approccio maggiormente violento e politicamente scorretto (qui ci sono di mezzo dei ragazzini, quindi potete immaginare chi siano le vittime sacrificali).
Purtroppo dopo l’exploit di “Noroi” (2005), Kôji Shiraishi ha imboccato diverse strade senza mai riuscire a colpire il bersaglio, una sensazione che emerge già a partire da questo lavoro, registicamente piatto e poco votato all’intrattenimento: non a caso si sbadiglia tanto durante questi novanta minuti di visione, tranne quando compare sullo schermo questa donna veramente inquietante (per fortuna realizzata con un’ottima cura per i particolari).
Con una recitazione generale ai limiti dell’orrido, in “A Slit-Mouthed Woman” c’è davvero poco da salvare: ci mettiamo dentro le atmosfere opprimenti dettate da una fotografia volutamente opaca e infine la tematica – sviluppata però con troppa sufficienza – dell’amore materno, un argomento che Kôji Shiraishi avrebbe potuto approfondire con maggior enfasi. Per una volta, ci sentiamo di consigliare il sequel del 2008 “A Slit-Mouthed Woman 2”, crudele quanto basta per elevarsi un paio di spanne al di sopra rispetto a questo primo capitolo.

(Paolo Chemnitz)

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