
di Chad Crawford Kinkle (Stati Uniti, 2013)
Non sempre quel filone cinematografico che viene comunemente chiamato folk-horror attinge dalle tradizioni popolari di una comunità o da qualche antica fiaba o leggenda tramandata di generazione in generazione: il caso di “Jug Face” ce lo conferma, poiché la storia che ruota attorno a questo film proviene esclusivamente dalla fantasia del regista e sceneggiatore Chad Crawford Kinkle. Una buona occasione sfruttata fino a un certo punto, perché partendo da un soggetto così intrigante si poteva sicuramente aspirare a un risultato migliore.
Il cast è interessante, accanto all’onnipresente Larry Fessenden troviamo la minuta Lauren Ashley Carter (giovane attrice già apprezzata in “The Woman”, qui nel ruolo della protagonista Ada). Lei è una ragazza che vive nei boschi insieme a una comunità retrograda il cui destino è nelle mani di una fossa scavata nel terreno, una specie di pozzo ricolmo di acqua e di fango che funge da vera e propria entità divina: ciclicamente è contemplato il sacrificio umano proprio in onore di questa fossa, onde evitare che accadano degli eventi funesti ai membri del villaggio (la faccia della persona prescelta per tale rito viene scolpita su una brocca di ceramica). Quando Ada si rende conto di essere la prossima vittima, la situazione precipita inesorabilmente, anche perché c’è da nascondere una gravidanza indesiderata (in “Jug Face” il tema dell’incesto ha una sua peculiare importanza).
Le premesse sono dunque ottime, l’ambiente familiare repressivo in cui vive la protagonista rispecchia quel discorso più ampio legato alla religione, dove il timore di un giudizio divino tende a condizionare la quotidianità di molti individui: non a caso quella buca è il Dio da cui dipendono le sorti di tutta la comunità (non rispettare il suo volere implicherebbe la catastrofe). Se però le belle atmosfere e qualche sequenza piuttosto audace ci permettono di assistere a una prima parte abbastanza buona, con il trascorrere dei minuti la tensione cala e vengono giocate alcune carte francamente inutili (l’elemento sovrannaturale si rivela superfluo). Nonostante ciò, “Jug Face” per nostra fortuna non crolla, proseguendo sui binari di un’ordinaria sufficienza fino al suo discreto ma non entusiasmante epilogo.
Curioso il fatto che tra i produttori del film ci sia anche il nome di Lucky McKee (il regista del succitato “The Woman”), perché ancora una volta è una figura femminile a imporsi sullo schermo, come se ci fosse un tacito collegamento tra la famiglia (disfunzionale) borghese della sua celebre pellicola e quella rurale (in preda alle superstizioni) presente tra questi fotogrammi. Sarebbe stato interessante se questo “Jug Face” fosse stato diretto proprio da lui, un regista capace di saper leggere in maniera più profonda sia i personaggi che gli eventi. Accontentiamoci lo stesso, un film moderatamente godibile non si scarta mai.

(Paolo Chemnitz)
