
di Stefano Sollima (Italia, 2015)
Chi vive a Roma probabilmente sarà passato più volte da Piazza della Suburra, situata nel Rione Monti all’uscita della metro Cavour. Se oggi quella zona è piena di locali alla moda ed è frequentata dai giovani e dai turisti, un tempo proprio con la Suburra veniva identificato il quartiere malfamato, quello dove prosperava la criminalità. Partendo da questo assunto (quindi dall’omonimo romanzo pubblicato nel 2013 dalla coppia Bonini/De Cataldo), Stefano Sollima mette in scena un crime movie destinato a segnare in maniera indelebile il cinema italiano di quel periodo, un successo che ha poi permesso al regista romano di approdare a Hollywood (prima con “Soldado” e ultimamente con “Senza Rimorso”).
La forza di “Suburra” è nella storia, nella sceneggiatura e nei personaggi, un contenitore trasversale che tocca alcuni vertici della malavita romana, passando sia per gli ambienti altolocati (dal Vaticano alle aule di Montecitorio), sia per quelli di periferia (l’area sud-orientale o la controversa zona del litorale ostiense). Tramite una serie di intrighi, di spietati ricatti e di brutali esecuzioni, la narrazione di “Suburra” procede a imbuto, prima presentandoci una serie di loschi individui e poi facendo in modo che le loro vicende si incrocino inesorabilmente in attesa dell’apocalisse: conosciamo dunque il politico Filippo Malgradi (Pierfrancesco Favino) invischiato in festini con droga e mignotte minorenni, il boss Samurai (Claudio Amendola) intenzionato a far diventare Ostia una piccola Las Vegas e poi ancora il sadico Aureliano (Alessandro Borghi), il viscido e vigliacco Sebastiano (Elio Germano) e il capo della famiglia rom Manfredi (Adamo Dionisi), per un cast di alto livello dove anche le donne ricoprono un ruolo fondamentale (molto convincenti le prove di Greta Scarano e di Giulia Gorietti).

Piove a dirotto su Roma, una metropoli trasfigurata che sembra Gotham City: la notte è il momento ideale per far sparire un cadavere, per ammazzarsi buttandosi nel Tevere o per chiudere i conti con qualcuno che ha sgarrato. Atmosfere e situazioni che fanno accapponare la pelle, perché la tensione presente in “Suburra” è una scarica elettrica che ci colpisce per oltre due ore, senza mai perdere un minimo della sua intensità. La regia, la fotografia, l’onnipresente e magnifica colonna sonora degli M83, il lavoro di Stefano Sollima e della sua crew si rivela eccellente, una confezione internazionale finalmente lontana dalla storiella televisiva delle fiction usa e getta. Anche per questo motivo “Suburra” è un film molto amato al di fuori dei nostri confini e di questo bisogna andarne orgogliosi.
Negli ultimi anni è tanta la merda che è sgorgata fuori dalle varie vicende di cronaca nera che hanno colpito la capitale, ecco perché la finzione di “Suburra” è come un’ombra che segue di pari passo la realtà: il potere economico del Vaticano, gli affari tra mafia e politica, le cosche di Ostia, le ville dorate dei Casamonica, tutti vogliono partecipare al banchetto spartendosi questa grande torta che è Roma. Nessuno ha paura, soprattutto quando ci si sente onnipotenti comprando favori e persone con il denaro (“senti, sai che c’è? C’è che ora come ora, in questo paese, uno come me, uno che sta dove sto io, uno che è arrivato dove sono arrivato io, se ne fotte della magistratura”). Un film dunque nero come la pece, dove ogni azione è sempre votata alla morte o all’intimidazione di qualcuno, un vortice di odio e di vendetta che ci fa sprofondare sempre più giù. Nelle viscere di Roma, la città divina oggi divorata da se stessa.

(Paolo Chemnitz)
