
di Monte Hellman (Stati Uniti, 1971)
Risale a pochi giorni fa la notizia della scomparsa di Monte Hellman (1929-2021), un regista che non ha mai amato i riflettori e le luci della ribalta. Noi ce lo ricordiamo soprattutto per un paio di western con Jack Nicholson (“La Sparatoria” e “Le Colline Blu”, entrambi del 1966), per il mai troppo celebrato “Strada A Doppia Corsia” (ovvero “Two-Line Blacktop”) e per il controverso “Cockfighter” del 1974, opera all’epoca molto criticata negli States per via di alcune scene di combattimento tra galli. Hellman è stato inoltre il produttore esecutivo del cult “Le Iene” (1992).
Per omaggiarlo a dovere, abbiamo scelto quello che a nostro avviso è il suo film migliore, un manifesto generazionale di un’America che si era appena affacciata nei 70s. “Strada A Doppia Corsia” è un road movie che solo in apparenza possiamo accostare ad altri titoli importanti come “Easy Rider” (1969) o “Vanishing Point” (1971), perché se di base queste pellicole hanno svariati punti in comune, è la sostanza a cambiare inesorabilmente: il concetto di libertà e di ribellione che per esempio ha reso celebre l’opera di Dennis Hopper, qui viene sostituito da un senso di vuoto inestirpabile, come se il destino di questi individui non portasse da nessuna parte. In effetti la trama di “Strada A Doppia Corsia” ha davvero poco da offrire, un minimalismo che a lungo a andare si rivela amaro e persino opprimente, come l’esistenza stessa dei quattro protagonisti senza nome.
James Taylor interpreta il pilota mentre Dennis Wilson è il meccanico, una coppia di giovani che cerca di sbarcare il lunario partecipando a una serie di gare automobilistiche clandestine. Presto a loro si aggiunge una ragazza hippie (Laurie Bird si suicidò giovanissima pochi anni dopo) e un uomo chiamato GTO (Warren Oates), con il quale i due ragazzi intraprendono un lungo viaggio attraverso la provincia americana scommettendo su chi arriverà per primo a Washington con la propria auto. Così tra autostoppisti, inconvenienti di vario tipo e qualche dialogo poco consolante (“everything fell apart on me. My job, my family, everything”), il film si consuma lentamente come una candela accesa nel cuore della notte.
“Strada A Doppia Corsia” è uno stato mentale, non un film. Monte Hellman ci racconta di una nazione straniante e alienante, un luogo sconfinato dal quale emerge soltanto una straripante malinconia (la pioggia, i benzinai sperduti, i lunghi silenzi che sembrano voler accompagnare questo tragitto praticamente senza meta). Anche la sfida stessa tra i protagonisti altro non è che un buco esistenziale da riempire, non a caso l’epilogo viene inserito quasi casualmente, solo allo scopo di chiudere un film che sarebbe potuto andare avanti tranquillamente per altre due ore (anzi, per tutta la vita). Un viaggio dunque nella solitudine e nel disincanto, una sottrazione che per certi versi collima proprio con il carattere schivo di Monte Hellman, colui che è riuscito a raccontare quell’America nascosta che gira ossessivamente intorno a se stessa.

(Paolo Chemnitz)

Omaggio sentito e necessario. Bella recensione.
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Capolavoro assoluto e bella recensione. : ).
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