
di Bernard Rose (Stati Uniti/Gran Bretagna, 1992)
Negli ultimi tempi si è creato un nuovo interesse attorno a “Candyman”, ovviamente per via della notizia riguardante l’uscita di un sequel diretto da Nia DaCosta, la cui distribuzione è già stata rimandata più volte in seguito alle chiusure legate alla pandemia. Un film la cui storia dovrebbe ripartire dall’epilogo del primo capitolo, bypassando direttamente le altre due pellicole della saga realizzate rispettivamente nel 1995 e nel 1999.
Protagonista dell’opera è la giovane Helen Lyle (Virginia Madsen), una studentessa che conduce delle ricerche sulle leggende metropolitane: questa sua passione diventa un’ossessione quando Helen scopre dell’esistenza di Candyman (curioso ma non indimenticabile questo personaggio interpretato da Tony Todd), il figlio di uno schiavo che venne torturato e ucciso nel famigerato Cabrini-Green di Chicago, un ghetto abitato dai neri. È possibile evocare questo boogeyman pronunciando il suo nome per cinque volte davanti a uno specchio, una formula che si rivela un incubo quando Helen viene accusata di una serie di omicidi in realtà compiuti proprio da Candyman, da lei richiamato nel presente attraverso questo inquietante passaggio temporale.

Nel 1992 il cinema horror boccheggia, forse anche per questo motivo “Candyman – Terrore Dietro Lo Specchio” (basato su un racconto di Clive Barker) ce lo ricordiamo come uno dei migliori prodotti di quel periodo: un obiettivo raggiunto in scioltezza che tuttavia non deve trarre in inganno, perché parliamo sempre di un buon film ma non di un capolavoro. La regia di Bernard Rose è di matrice televisiva e in parte penalizza un prodotto comunque ben sceneggiato e dalle affascinanti location, non a caso “Candyman” è pregno di riferimenti più o meno espliciti al razzismo e all’emarginazione sociale (sotto certi aspetti, questo film fa il paio con “La Casa Nera” di Wes Craven, uscito l’anno precedente). Se lo splatter non manca (così come non mancano dei momenti puramente creepy), una frase come “whites only come here to cause us a problem” suona infatti molto più attuale del plot stesso, una storia che diventa automaticamente strumento di denuncia per la segregazione forzata di una comunità (vi ricordo che tutta la zona del Cabrini-Green è stata abbattuta e poi bonificata tra il 1995 e il 2011).
Non c’è dunque da stupirsi per un sequel pensato proprio durante un periodo in cui l’America grida a gran voce “black lives matter” (aggiungete anche che tra gli sceneggiatori del film in uscita il prossimo agosto c’è il nome di Jordan Peele). Forse ne parleremo, chissà. Nel frattempo, una ripassata al primo “Candyman” è cosa buona e giusta, anche solo per godere sulle indimenticabili note di Philip Glass, la cui colonna sonora è tra le più belle di sempre.

(Paolo Chemnitz)

Colonna sonora pazzesca davvero…
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